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Coronavirus, il caso Piemonte: perché diventerà la seconda regione più colpita di Italia

13 Aprile 2020 - 06:43 Felice Florio
Il 23 marzo, quando l'Emilia-Romagna ha raggiunto il suo picco di nuovi casi giornalieri (+980), è iniziata una progressiva discesa nella regione. Il Piemonte ha raggiunto il suo massimo solo l'11 aprile (+996), «e l'andamento porta a pensare che i piemontesi potrebbero avere giornate ancora più complicate nel prossimo futuro»

Nelle prossime due settimane il Piemonte potrebbe superare l’Emilia-Romagna e diventare la seconda regione italiana per casi di positività totali al Coronavirus. Lo dicono i dati: a parità di incremento nel numero di tamponi, il Piemonte cresce a una velocità maggiore dell’Emilia-Romagna, la regione più colpita dopo la Lombardia.

La scorsa settimana ci sono stati in media 150/200 casi positivi in più giornalieri. Il Piemonte, l’11 aprile, aveva 16.008 casi totali, l’Emilia-Romagna 19.635. Il 12 aprile, i numeri dicono 16.660 contro 20.098: un divario che continua ad assottigliarsi.

La versione di Cirio

Per il presidente della Regione, Alberto Cirio, non esiste un “caso Piemonte”. Ma ammette: «Sto combattendo una guerra con l’esercito che ho trovato, fatto di uomini e donne straordinarie, ma che aveva carenze organizzative gravi. Ecco perché ci sono delle difficoltà». Il riferimento è alla bassa capacità diagnostica: l’11 aprile i tamponi effettuati erano 62.577, contro i 91.579 dell’Emilia-Romagna, il 12 aprile 66.555 contro 96.704. Lombardia, Veneto, ma anche Toscana e Lazio hanno fatto più test del Piemonte.

«Ho trovato punte di straordinaria eccellenza, ma anche criticità di strumentazioni che non c’erano e di una medicina territoriale abbandonata a se stessa negli anni. Una sanità con ospedali eccellenti – dice Cirio -, ma criticità reali». Effettivamente, il Piemonte non ha una rete di laboratori per le analisi sviluppata. «A febbraio erano due, tra pochi giorni diventeranno 20. Passare dai due laboratori ereditati a 20 è stato un lavoro enorme – spiega il presidente della Regione -, ed è il motivo per cui il Piemonte non è riuscito a raggiungere subito i numeri di tamponi delle altre regioni, ma lo ha fatto in poco tempo».

La questione tamponi

Più persone vengono sottoposte al test, più efficaci diventano le misure di contenimento, poiché si scoprono più casi positivi per i quali può essere predisposto l’isolamento. Per questo sistemi come il tampone “drive through”, implementato dall’Emilia-Romagna e in grado di velocizzare le analisi, rendono più efficiente la lotta al coronavirus. Il numero più alto di tamponi somministrati in un giorno nella regione di Stefano Bonaccini è stato riscontrato l’11 aprile (+5.875), ma un sensibile incremento nel numero di test giornalieri si nota già dal 19 marzo.

Andamento tamponi giornalieri: il numero tra le due regioni, da aprile, è pressoché identico, ma il Piemonte registra più tamponi positivi (vedi grafico seguente)

Non è così per il Piemonte: nel mese di marzo, solo tre volte si è superato il numero dei 2mila tamponi nelle 24 ore, il 22, il 29 e il 31 del mese. In Emilia-Romagna, invece, 12 volte: la prima volta che si è superata quota 2mila era il 15 marzo, una settimana prima del Piemonte. Ad aprile si assottiglia la differenza tra le due regioni nel numero di test diagnostici, ma succede qualcosa di strano.

«Tutte le regioni stanno incrementando il numero dei tamponi», spiega il fisico Giorgio Sestili. «In particolare, Piemonte ed Emilia-Romagna hanno fatto un elevato numero di test negli ultimi 5-6 giorni. C’è un dato però che stupisce: quasi il 20% dei tamponi rilevati l’11 aprile in Piemonte è risultato positivo al coronavirus. In Emilia-Romagna la percentuale è stata di circa l’8%». Una percentuale così alta l’Emilia-Romagna non la vede da ormai una settimana e, in generale, il rapporto tra positivi e numero di tamponi fatti è quasi sempre più alto in Piemonte.

Per il professor Giovanni Di Perri, responsabile Malattie infettive all’Amedeo di Savoia di Torino, questo dato può avere una spiegazione: «Il Piemonte ha parecchi casi sommersi. Quando è stato disposto il distanziamento sociale dal governo, all’interno delle abitazioni e dei condomini delle città c’erano già molte persone infette non ancora diagnosticate. Per smaltire quelle infezioni e i contagi domiciliari ci vorrà del tempo», dice a Open.

Percentuale tamponi positivi sul totale effettuati: nelle ultime 24 ore, il Piemonte ha registrato il 19,5% di tamponi positivi, l’Emilia Romagna l’8,5%.

Il professore ha appena lasciato un convento nel Torinese dove ha sottoposto 53 suore a test diagnostico. «Regioni come il Veneto sono state ammirevoli: hanno organizzato molti più tamponi di noi. Purtroppo nella nostra e in altre regioni era impensabile fare una politica di test a tappeto perché non avevamo le risorse sufficienti. Le varie regioni italiane hanno risposto all’emergenza partendo da posizioni eterogenee – afferma -. È chiaro che sarebbe stato meglio fare più tamponi: in Veneto ha funzionato il distanziamento sociale susseguito all’individuazione più precisa dei casi».

I casi totali

Analizzando il numero dei casi positivi totali del Piemonte e comparandolo con quello relativo all’Emilia-Romagna, si nota che dal 19 marzo al primo aprile le due regioni avevano lo stesso andamento nel numero di nuovi casi giornalieri. «Negli ultimi dieci giorni – evidenzia Sestili -, abbiamo rilevato una discesa abbastanza veloce dei nuovi casi in Emilia-Romagna. Al contrario, il Piemonte ha iniziato ad aumentare i suoi nuovi casi giornalieri». Seguendo questi due trend, si è arrivati alla situazione dell’ultima settimana, in cui il Piemonte fa registrare una media giornaliera di 150-200 casi in più rispetto all’Emilia-Romagna.

«La spiegazione più plausibile – sostiene il fondatore della pagina Facebook Coronavirus – Dati e Analisi Scientifiche – è che il Piemonte ha molti casi nascosti e, di questo passo, in una decina di giorni diventerà la seconda regione italiana per casi positivi totali».

Il 23 marzo, quando l’Emilia-Romagna ha raggiunto il suo picco di nuovi casi giornalieri (+980), è iniziata una progressiva discesa nella regione. Il Piemonte, il suo massimo, l’ha raggiunto solo l’11 aprile (+996) – il 12 aprile i nuovi casi sono stati +652 -, «ma l’andamento porta a pensare che i piemontesi potrebbero avere giornate ancora più complicate nel prossimo futuro».

Andamento giornaliero dei nuovi casi positivi: l’emilia Romagna ha una diminuzione evidente dal 22-23 marzo, a differenza del Piemonte che continua a crescere

Il professor Di Perri, ad ogni modo, non crede che ci siano state delle falle a livello di amministrazione regionale: «Non penso ci sia un caso Piemonte», dice, e spiega perché si sta verificando in questi giorni un incremento dei casi nella sua regione. «Da un’analisi geografica, emerge come l’epidemia piemontese sia figlia di quella lombarda. Se andiamo a guardare non il numero assoluto, ma il numero di casi positivi per 100mila abitanti, le province che confinano con la Lombardia hanno numeri doppi rispetto a quelli del Piemonte occidentale. Questa contiguità ci fa vivere con una settimana di ritardo quello che è successo ai lombardi».

«La sanità regionale regge»

Seppure siano le province orientali quelle più colpite dall’epidemia, sono i numeri della città di Torino a preoccupare: nella provincia del capoluogo piemontese, su un totale di 16.008 casi nella regione all’11 aprile, ci sono stati 7.605 infetti. «Il Piemonte è un territorio molto Torino-centrico – dice il virologo -. La maggior parte dei casi si trova proprio nella città capoluogo, in provincia c’è una dispersione. La casistica che abbiamo rilevato, ribadisco, evidenza uno sciame epidemico che deriva dalla Lombardia. Mi aspetto un picco di casi a Torino circa una settimana in ritardo rispetto all’equivalente a Milano».

La maggior parte dei contagi che la sanità piemontese sta gestendo in questi giorni si sono sviluppati in ambito intrafamiliare. «Si tratta di infezioni antecedenti al lockdown: non avendo le risorse per fare tamponi a tappeto, molti asintomatici hanno contagiato i residenti dello stesso condominio. Un fenomeno molto evidente nei palazzi molto popolati di Torino che leggiamo nei dati di questa settimana». Nonostante gli aumenti dei numeri in Piemonte, la situazione del sistema sanitario appare sotto controllo: «Sono stabili i numeri dei ricoveri gravi legati al Covid-19», afferma Di Perri.

Andamento dei decessi giornalieri: in Piemonte aumentano da 4 giorni consecutivi

Ospedali e strutture per anziani

«Al momento, la situazione posti letto in rianimazione è in stato di compenso. Ce la facciamo, questo grazie agli sforzi ingenti tipici della Protezione civile, di concerto con i direttori sanitari». In Piemonte, come nel resto di Italia, non pochi focolai si sono sviluppati all’interno delle residenze per anziani: «Non è un fattore che incide con la crescita dei dati di questi ultimi giorni. Certo è che i direttori delle Rsa si sono trovati a gestire un concentrato di soggetti vulnerabili in un clima confusionario», sostiene Di Perri.

I responsabili, per il virologo, non sono i direttori sanitari delle strutture per anziani: «Solo ad aprile l’Oms ha detto con chiarezza che il virus si trasmette per via aerogena. Allora, se non dai le mascherine filtranti, non quelle chirurgiche, al personale di quelle strutture dove ci sono casi sospetti di positività, è ovvio che il virus finisce per contagiare chiunque nel luogo chiuso». Di Perri conclude facendo chiarezza sui dpi: «L’unica mascherina in grado di ridurre la percentuale di rischio e difendere una persona dal contagio è quella filtrante, ovvero le Ffp2 o le Ffp3».

«Se mando un medico o un infermiere in una stanza con un malato di Covid-19, deve indossare una mascherina filtrante, una visiera, una tuta monouso. Allora sì, ci sono dei responsabili per i morti e i contagi, soprattutto di personale sanitario. Chi ha emanato dall’Oms delle direttive poco chiare in questo senso, chi le ha interpretate in Italia senza ascoltare il parere degli esperti, chi ha fatto confusione sulle mascherine e, all’inizio, diceva che bastava lavarsi le mani».

Grafici di Emanuele Degani, Didascalie di Giorgio Sestili

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