Coronavirus, il ritorno dei bambini a scuola: come affrontare il rischio del “far finta di niente” – L’intervista
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Trascorso ormai un mese e mezzo di quarantena, e con l’aumento di indiscrezioni sulla fase due, la parola che più ricorre nelle conversazioni di molti italiani è “dopo”. Già. Conclusa la fase uno di contenimento del contagio da Coronavirus il pensiero va subito a cosa succederà quando le misure restrittive verranno ammorbidite e si potrà tornare, in parte, a una vita semi normale. Una preoccupazione che riguarda soprattutto il mondo delle famiglie e dei bambini.
Il lockdown forzato ha rappresentato un evento inusuale, non comune per migliaia di genitori che hanno dovuto far fronte all’organizzazione di nuove routine con i propri figli. Con lezioni e amici distanza, le dinamiche di interazione dei più piccoli sono cambiate radicalmente andando a interrompere quel “processo evolutivo” scandito dal trascorrere delle ore in classe. Una sfida a cui dovranno far fronte molti insegnanti.
«Per i bambini e il loro ritorno in classe il primo timore che abbiamo come ricercatori è quello del diniego: ritornare a fare le cose come se non fosse successo niente», spiega a Open Michele Capurso, ricercatore e professore di psicologia dell’educazione all’università di Perugia e coautore, assieme alla collega Claudia Mazzeschi, del corso accreditato dal Miur «Accogliere i bambini in classe dopo l’emergenza Coronavirus».
Durante questa crisi i bambini sono stati sottoposti a molto stress, uno stress prolungato nel tempo che ha toccato miliardi di persone nel mondo: «Queste due cose aprono a scenari che noi in realtà non conosciamo», specifica Capurso. «Il rischio maggiore è che non vengano aperti gli spazi che servono alla mente umana e ai bambini in particolare per la condivisione. Spazi di narrazione per raccontare non tanto l’oggettività di quello che è successo, ma il modo in cui ogni bambino ha vissuto questa situazione».
La famiglia
Le reazioni familiari alla crisi sono state tra le più svariate. Fattori economici e materiali rispetto alla disponibilità di spazi ampi, così come la possibilità di continuare a lavorare hanno avuto un impatto sul vissuto dei bambini e delle bambine. «Il nostro percorso parte dalla soggettività del racconto, dalla condivisione di emozioni e pensieri che esprimono che cosa hanno fatto i bambini mentre stavano a casa», chiarisce Capurso. Il concetto centrale per il ritorno a scuola sarà dunque quello di spostare l’attenzione non tanto sulla gravità dell’evento ma sulla percezione che i piccoli hanno avuto: «Serve uno strumento per affrontarlo».
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La situazione di emergenza straordinaria ha costretto la scuola a reinventarsi nel giro di poche settimane, offrendo a insegnanti e studenti strumenti per continuare il percorso educativo anche a distanza. Ma il ritorno a scuola potrebbe presentare sfide che mai prima d’ora il sistema educativo si era trovato ad affrontare.
«I bambini più fragili potrebbero non avere avuto a casa gli strumenti necessari per capire quello che gli accadeva. Sarà la scuola a dover fornire strategie che permettano ai bambini di elencare i loro timori e preoccupazioni». Fondamentali in questo processo saranno i loro coetanei: «Quando i bambini hanno queste difficoltà cercano prima di tutto un gruppo di pari mettendo in atto gli elementi del “coping”, ovvero della capacità di far fronte alle difficoltà».
E se le lezioni a distanza hanno permesso di continuare il programma educativo da seguire, a essersi interrotto è «il processo evolutivo» dice Capurso. «Andare a scuola non si va solo per imparare la materia, si va per attivare nella persona processi di sviluppo umano, universali. Grazie a quello che il bambino scopre nel corso della sua vita scolastica, le informazioni che ha acquisito gli permettono di diventare capace di comprendere il mondo intorno a sé e di agire su di esso per modificarlo». Ma tutto questo è stato messo a forte rischio con l’interruzione di ruoli sociali: «La sfida educativa sarà riprendere tutto questo».
La strategia del gioco
Tra le strategie a cui gli insegnanti dovranno ricorrere, sempre più tralasciata nelle scuole italiane, dice Capurso, c’è quella del gioco: «I bambini dovranno riprendere la connessione con gli altri, tornare a vedere i luoghi, assaporare gli spazi, tornare a capire a cosa servono». E sarà proprio il gioco a permettere ai bambini di autoregolarsi, trovando uno spazio appropriato in cui esprimersi: «Il bambino ha tempi e modi diversi di comunicare. Il suo messaggio potrebbe passare da un disegno, da un mettersi in gioco».
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In un articolo virale apparso su The Correspondent il giornalista Rutger Bregman sottolinea come disastri e crisi facciano emergere il meglio dell’essere umano. Ma perché questa crisi diventi un’opportunità è necessario aiutare il bambino a comprendere, afferma Capurso, «che dalle difficoltà possono nascere anche apprendimenti di strategie che possiamo usare per affrontare la vita: questa è la chiave educativa ed evolutiva».
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