Coronavirus, circolari contrastanti, norme regionali e potere di veto del sindacato: il pasticcio della cassa in deroga
La cassa integrazione in deroga è uno degli strumenti più importanti per gestire l’emergenza occupazionale scatenata dal Coronavirus; si tratta, infatti, dell’unica tutela disponibile per le imprese che non hanno accesso alle altre forme di ammortizzatori sociali, categoria in cui ricadono settori fondamentali della vita del Paese (tutte le grandi imprese commerciali, ad esempio).
Uno strumento del genere dovrebbe essere fruibile in tempi rapidi e con forme estremamente semplificate: l’esatto contrario di quanto sta accadendo nel nostro Paese, a causa di un cocktail micidiale di fattori.
L’incertezza interpretativa
Il primo fattore è l’incertezza interpretativa: la norma del decreto Cura Italia che disciplina la cassa in deroga prevede che le Regioni gestiscano lo strumento previo accordo sindacale, con una forma oscura che si presta a diverse interpretazioni.
Una circolare INPS (la n. 47/2020) sostiene che anche senza tale accordo è possibile ottenere la cassa in deroga, ma passa qualche giorno e una circolare del Ministero del lavoro (la numero 8/2020) dice l’esatto contrario.
Le regole delle Regioni
Il secondo problema riguarda il modo in cui le Regioni decidono di gestire questo strumento: viene approvata una varietà di regole che cambiano da un territorio all’altro senza alcuna logica (alcune regioni impongono l’accordo sindacale, altre no, altre ancora prevedono forme alternative), e addirittura cambiano, da una regione all’altra, i requisiti per accedere alla cassa.
Il potere di veto del sindacato
Il terzo problema riguarda il potere di veto consegnato al sindacato. E’ stato assegnato un potere eccessivo a un soggetto che, pur svolgendo un ruolo fondamentale per la vita del paese, resta un organismo privato: non è giusto che diventi “giudice” unico per l’accesso a un trattamento pubblico come la cassa integrazione in deroga.
Anche perché il requisito dell’accordo sindacale ha creato le basi per una disparità di trattamento inaccettabile tra i lavoratori. Alcuni di loro non potranno ottenere l’ammortizzatore solo perché il proprio datore di lavoro ha pessimi rapporti con i rappresentanti dei lavoratori (e per fortuna che quelli fino a 5 dipendenti sono esentati da questo passaggio), oppure perché non ha accettato le richieste sindacali.
In conclusione: come si può pensare di gestire l’emergenza con uno strumento soggetto a requisiti incerti, regole che cambiano da una regione all’altra e al potere di veto del sindacato?
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