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Unorthodox, sei motivi per cui dovreste vedere la miniserie del momento

19 Aprile 2020 - 19:32 Francesca Simili
Fatevi un regalo: mettete in standby l’ultima stagione della Casa di Carta (se non l’avete già divorata) e godetevi Unorthodox, la mini serie in 4 puntate prodotta da Netflix. Allerta Spoiler

“Unorthodox” racconta la storia di Esther “Esty” Shapiro, 19enne di fede ultra-ortodossa chassidica che vive nella comunità di Williamsburg, a Brooklyn. A governare la comunità la rigida osservanza dei dettami dell’ebraismo ortodosso, ai limiti del fanatismo. Dopo il matrimonio combinato con Yanki, giovane studioso del Talmud, le regole imposte all’interno della comunità si fanno sempre più asfittiche per la ragazza: la pressione sociale dell’aver figli, il rapporto coniugale infelice e alla difficoltà a concepire inducono Esty a scappare verso Berlino dalla madre, allontanata dalla comunità anni prima.

“Unortodox” è un prodotto di altissima qualità: regia, sceneggiatura e cura di dettagli hanno messo d’accordo pubblico e critica. Racconta una comunità di nicchia, con un linguaggio e un’estetica lontana dalle ultime produzioni targate Netflix, più attente alla ricerca del consenso mainstream.

https://www.youtube.com/watch?v=wt7YcCJwNH0

Se non vi abbiamo ancora convinto ecco 6 motivi sul perché dovreste guardarla:

  • È tratta da una storia vera, più precisamente dal romanzo autobiografico di Deborah Feldman: Ex ortodossa. Il rifiuto scandaloso delle mie radici chassidiche. La scrittrice è stata coinvolta nella progettazione della serie. Alla base della storia ci sono le vicende reali vissute dalla Fieldman, anche se con alcune differenze. La volontà di creare un differenziale con l’autobiografia viene spiegato da Anna Winger, una delle ideatrici e produttrici della serie: «Per noi era molto importante cambiare la vicenda di Deborah Feldman perché essa è una giovane donna, un personaggio pubblico e un’intellettuale. In un certo senso i flashback sono basati sul libro, ma la storia attuale è interamente inventata».
  • La comunità chassidica. Questa serie ci permette di indagare e osservare dall’interno una comunità: quella ebrea ultra-ortodossa, i cui riti e le dinamiche sociali si muovono in un perimetro definito da regole secolari. Nella scala sociale, le più penalizzate sono le donne: queste infatti non possono accedere agli studi o lavorare. Anche l’aspetto fisico è governato da precise regole al fine di rispettare gli standard di umiltà e modestia. Ad esempio, gambe e braccia devono sempre essere coperte, mentre i capelli rasati vengono protetti da una parrucca (la Sheitel) o un copricapo. Sono tanti i rituali raccontati nelle serie. Uno dei più frequenti è quello di toccare lo stipite della porta e baciarsi le mani ogni volta che si cambia stanza. Il gesto è legato alla Mezuzah, il “contenitore” della preghiera Shemà Israel (“Ascolta Israele”) posto proprio sulle porte. In un’altra scena viene vista la cucina interamente rivestita di carta stagnola: in prossimità della Pasqua, essa viene protetta per evitare che il cibo possa contaminarsi.
  • La lingua. “Unorthodox” è quasi interamente girata in yiddish. È la prima volta che questo dialetto arcaico “giudaico-tedesco” viene usato in una serie.
  • Attenzione alle ricostruzioni, l’adattamento della storia è contemporaneo, ma i flashback della vita di Esty all’interno della comunità sembrano appartenere ad un’altra epoca storica. La contrapposizione con la modernità berlinese e la vita a Williamsburg appaiono ancora più stridenti. Il divieto di usare la tecnologia risulta quasi grottesco nella scena in cui il marito della giovane urla ad uno smartphone «trova Esty!», fa apparire il sistema ortodosso ancora più anacronistico e incompressibile ai nostri occhi. La ricercatezza dei costumi e le ambientazioni avvicinano la serie ad una ricostruzione storica. A spiccare è l’episodio del matrimonio tra Esty e Yanki, in cui tutto segue fedelmente il rituale chassidico: uomini e donne separati, la cena degli sposi isolati dal resto del banchetto, la lunga cerimonia religiosa, i pesanti copricapi maschili in visone. La scena è stata girata in due giorni con oltre 100 comparse.
  • La riabilitazione di Berlino, la scelta della capitale tedesca (non presente nella storia reale) diventa metaforica. La Germania viene vista come una terra densa di ricordi dolorosi. Ma se durante la shoah il viaggio salvifico era verso l’America, qua si tratta dell’opposto. Per salvarsi Esty torna a Berlino («perché proprio Berlino?» si domandano tutti), trovando una città accogliente, moderna e artistica, lontana dall’immaginario tramandato. Esty si inserirà in un gruppo di giovani musicisti cosmopoliti che la condurranno alla scoperta della città ma soprattutto di tutte le esperienze che la vita a Williamsburg le aveva precluso.
  • Il messaggio è universale. Esty, interpretata dalla bravissima Shira Haas, è nata e cresciuta all’interno della comunità ortodossa. Per lei Zaddiq – il giusto – è il rispetto delle regole: lasciare le lezioni di pianoforte che ama, rasarsi i meravigliosi capelli, crescere avendo come fine quello di diventare unicamente moglie e madre. Eppure la difficoltà ad avere figli incrina le sue certezze. Quella di Esther Shapiro non è soltanto la storia di una ragazza ebrea che si ribella al sistema di regole imposto: è la storia di crescita trasversale alle differenze culturali o religiose e il racconto della lotta per i propri desideri e la propria libertà. Ma non si tratta di una convenzionale “ragazza contro”: il processo di emancipazione infatti è doloroso e rivela i compromessi interiori da intraprendere. Il prezzo da pagare per essere sé stessa.
Shira Haas in Unorthodox

Se non siete ancora convinti, allora fatevi ispirare da Shira Haas, la protagonista israeliana dallo sguardo calamitico capace in ogni scena di lasciare il segno ed entrare in empatia con lo spettatore. La stessa forza di magnetica caratterizza “Unorthodox”: dopo i primi minuti, desidererete conoscere il destino della giovane Esty, la ragazza ebrea fuggita da Williamsburg.

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