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Coronavirus. Parla Mattia, il paziente uno di Codogno: «Sono un miracolato. Il coma è come un limbo: pensavo di essere nell’anticamera della morte»

21 Aprile 2020 - 09:25 Olga Bibus
Mattia non ha dubbi: a tenerlo in vita è stata Giulia, sua figlia, nata qualche giorno fa. «Non potevo andare via mentre lei stava arrivando», racconta in un'intervista a Repubblica

In due mesi Mattia ha vissuto una vita intera: «Mi sono ammalato, stavo per morire, poi sono risorto». Intanto anche sua moglie e sua madre erano state contagiate, suo padre era morto e in Italia era scoppiata l’epidemia Coronavirus. «Poi mi sono svegliato e ho visto nascere mia figlia». Il cosiddetto paziente uno di Codogno racconta in un’intervista a Repubblica i giorni precedenti alla scoperta di essere stato contagiato dal Covid, la malattia, il coma, il risveglio e la guarigione. Il 38enne mostra per la prima volta il volto e condivide la sua storia perché «il mio caso può aiutare altri infetti a non mollare, i medici a continuare nell’impresa che rimette al centro il ruolo della scienza, i politici ad assumere decisioni che mettano sempre la vita al primo posto», dice. Lunedì 17 febbraio, Mattia va in pronto soccorso con una febbre alta, gli diagnosticano una polmonite e lo mandano a casa prescrivendogli antibiotici.

Fonte: Repubblica, l’intervista a Mattia, il paziente 1

Lui li prende, ma la febbre non scende, torna in ospedale, la sua situazione è già grave. I medici non riescono a capire, poi l’intuizione dell’anestesista Annalisa Malara che gli fa il tampone. A far scattare il dubbio che fosse Coronavirus, la moglie di Mattia. A Valentina viene in mente quella cena di qualche giorno prima con un amico tornato dalla Cina, che poi è risultato negativo: non ha mai contratto il virus. Ma grazie a quell’indizio, i medici diagnosticano a Mattia il Covid-19. «Mi è stato detto che dovevano addormentarmi per curarmi meglio». È l’ultimo ricordo del “paziente uno“.

«Sono entrato in un limbo. A tratti sognavo, ma non mi ricordo cosa. Non soffrivo, ma avevo la netta percezione che quella pace fosse l’anticamera della morte». Poi il risveglio, il trasferimento dalla terapia intensiva alla sub-intensiva. Il 19 marzo prende il telefono per chiamare suo padre e fargli auguri per la festa, scopre così che è morto. Non ha dubbi, a tenerlo in vita è stata Giulia, sua figlia, nata qualche giorno fa. «Quando stai per morire non puoi razionalmente resistere. Penso però che l’imminente arrivo di Giulia abbia moltiplicato le mie energie fisiche. Non potevo andare via mentre lei stava arrivando».

Quando è nata, Mattia era stato dimesso da qualche giorno e ha potuto assistere al parto. «Sono state due ore che per me valgono davvero tutta la sofferenza che l’hanno preceduta. Io ero appena uscito dalla rianimazione, Milano e il Lodigiano demoliti da migliaia di morti e questa bimba che apre gli occhi perché sente che la vita è meravigliosa». Mattia ancora non sa come sia stato contagiato. Il paziente zero resta un mistero. «Da mesi non andavo all’estero, sempre la stessa vita: il lavoro a Casalpusterlengo, gli amici tra Codogno e il Lodigiano». Ora però che il peggio è passato, spera che anche l’Italia guarisca presto, come lui, che ora «davanti vede il sole».

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