Coronavirus, come la cultura influenza le misure anticontagio. Il sociologo Triani: «Italiani in casa perché fifoni, proteste in Usa perché abituati a troppa libertà»
Esiste una correlazione tra le scelte politiche che i Paesi del mondo stanno adottando per sconfiggere l’emergenza sanitaria da Coronavirus e i loro fattori culturali come, ad esempio, gli stili di vita, le tradizioni – talvolta antichissime – e, perché no, le confessioni religiose. Una teoria sposata dal professor Giorgio Triani, sociologo dell’Università di Parma, che ha cercato di mettere in collegamento quanto fatto finora dai principali Stati – o quelli con una situazione più drammatica di altre – e la loro storia culturale.
Si parte dalla Cina, primo Paese a incassare il duro colpo dell’epidemia. «È dalle notizie dell’ultima settimana che dobbiamo partire per capirci qualcosa – dice il professore -. Si è infatti detto che i morti di Wuhan sarebbero il 50% in più di quelli ufficiali. Questo è il frutto di un regime che da tempo immemore nasconde sotto al tappeto, nella speranza di dare in pasto al mondo l’immagine di un sistema perfetto; lo fa da 70 anni. Allo stesso tempo, la Cina, dotata di integerrimo spirito orientale, ha fatto quello che sa fare meglio: mettere in riga il popolo con misure drastiche, militarizzando gli ambienti per scampare al pericolo. Ancora una volta è l’esempio lampante del fatto che la storia non inventa, al più esagera».
L’Italia, sebbene si stia mostrando «responsabile, con un senso civico quasi mai dimostrato prima, non crediamo certo lo stia facendo per improvvisa disciplina piombata dall’alto. Le misure restrittive e la quarantena esistono perché l’italiano è fifone. Sono tutti presi a restare in casa, a suonare l’Inno di Mameli fuori dalla finestra perché il popolo ha una paura folle di morire. Il popolo italiano è strutturalmente indisciplinato, storicamente mai stato unito. Qui si ritrova ad esserlo perché siamo gente malfidata, abbiamo timore di ammalarci e finire per non essere curati a dovere. Sanzioni e controlli certo funzionano, ma con la minoranza».
C’è poi la Svezia, il cui sistema per combattere il Covid sembrava essere vincente, un modello da seguire ma che, invece, piano piano si sta dimostrando più fallibile del previsto. «Sono partiti con spirito sportivo, senza blocchi, serrate. Locali pubblici e scuole aperte. Pensavano di cavarsela. Sono da sempre un Paese che ama vivere all’aria aperta, in totale libertà. Lì tutto funziona in modo perfetto, quasi mai si assiste a storture nel sistema. Un posto in cui non esiste un’iperconcentrazione urbana, dunque credevano fosse questo il loro jolly: “siamo pochi, viviamo distanti, che potrà mai capitarci”. E invece adesso subiscono l’effetto collaterale, quello dei contagi, della diffusione della malattia e a loro non rimane altro che esorcizzare la morte». Ieri la Svezia ha registrato il suo record di vittime in un giorno: 185 decessi che portano a 1.765 il totale dei morti. Altri 545 cittadini sono risultati positivi.
Anche in Svizzera niente lockdown, nonostante il numero dei contagi – sono più di 27 mila – e i decessi che hanno quasi raggiunto quota 1.500. «Ho notato con il programma di Google che traccia la mobilità che lì non schiodano le percentuali, molto alte, di coloro che continuano a muoversi per andare negli spazi verdi come i parchi. Eppure nessuno prende misure in merito. Questo può essere rapportabile al loro essere estremamente indipendenti. Basti pensare alla divisione in cantoni: ogni cantone ha una sua costituzione, un suo parlamento, un suo governo e suoi organi giurisdizionali. Ogni cantone bada a se stesso e così ogni cittadino che è responsabile della propria e della vita altrui: è un meccanismo automatico».
Gli Stati Uniti vivono in queste ore forti proteste anti-lockdown. La gente scende per strada, indice manifestazioni, nonostante il divieto di assembramento, per chiedere di non rimanere ancora per molto in casa. Gli Usa registrano 814.490 casi Covid confermati e 44.342 decessi. «Sarà dura laggiù: gli americani hanno un senso di libertà personale molto forte, da sempre. Dal poter possedere un’arma sotto il cuscino, allo sparare al ladro che ti entra in casa. È la patria in cui tutto è possibile, in cui tutti possono fare tutto. Sono abituati a prendersi qualsiasi tipo di libertà e quindi nutrono poca disponibilità a rispettare le regole imposte dall’alto, a farsi carico di restrizioni che, però, di fatto, possono salvare la vita».
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