Non solo spesa e farmaci ma anche parole e carezze: così Nancy, Stefano, Gabriele, Alessia e Giorgia hanno “salvato” gli anziani dal Coronavirus
Gli anziani «hanno pagato uno scotto pazzesco» nell’emergenza sanitaria del Coronavirus: diceva l’epidemiologo Fabrizio Pregliasco in un’intervista a Open. Da una parte la strage silenziosa delle Rsa (e il disastro della gestione delle case di cura in Lombardia che ha portato all’apertura di un’inchiesta della Procura di Milano), dall’altra la mancanza di un sostegno psicologico. Anziani a cui è stato detto fin dall’inizio di non uscire di casa, di essere i più a rischio, di essere le vittime predilette dal virus che ha messo in ginocchio tutto il mondo. Anziani che non hanno più rivisto figli e nipoti, che sono stati lasciati da soli con la tv accesa, bombardati da numeri e ansie, e che adesso chiedono aiuto. Non solo la spesa e i farmaci ma anche qualcuno con cui parlare, con cui sfogarsi. Prima che sia troppo tardi.
Nancy, Stefano, Gabriele, Alessia e Giorgia sono gli “angeli degli anziani”. Ragazzi che si sono messi a disposizione senza pensarci due volte, che non sono stati a guardare e che sono scesi in strada, lista della spesa alla mano, facendo la spola tra supermercati e farmacie. Non degli eroi ma «operatori silenziosi» di cui si parla ancora troppo poco.
«Ho aiutato due anziani soli con un figlio al Nord, positivo al Covid-19»
Nancy Cassalia, 25 anni, studentessa di Giurisprudenza, abita in Calabria e non ci ha pensato un attimo quando ha scoperto che una coppia di anziani era rimasta da sola, con i figli al Nord (di cui uno risultato positivo al Coronavirus). Nancy è emozionata, ha le lacrime agli occhi quando pensa ai due «nonnini»: «Ogni volta che vado da loro mi fanno trovare un fiore preso dal loro giardino. Margherite o rose. Riesco a strappargli un sorriso, poi il resto della giornata restano da soli a piangere perché non possono più vedere i loro figli, i loro nipoti, perché non esiste più la domenica».
Anziani che vogliono solo parlare e che, in alcuni casi, fanno fatica ad arrivare a fine mese, non riuscendo a pagare spesa, bollette e affitto. In alcuni casi, da soli, non sono nemmeno in grado di gestire le loro pensioni. Hanno bisogno non solo di cibo e farmaci ma anche di affetto, di parole, di carezze. «Hanno bisogno di sentirsi vivi» ma restano comunque fragili ed «è bene che per ora stiano a casa» ci dice Nancy.
«Ci sono anche gli anziani che un tetto non ce l’hanno»
Anche Stefano ha 25 anni. Lui va ancora all’università, studia Economia a Roma e proprio in questo periodo sarebbe dovuto partire per l’Erasmus in Germania. «E invece mi è finita a guidare un furgone» dice scherzosamente a Open. Stefano consegna la spesa a casa delle famiglie meno abbienti e fa la spesa agli anziani: «”Sono sola a casa da settimane, sei la prima persona che vedo” mi ha detto una signora pochi giorni fa. Pensate come stanno vivendo questo periodo… Una di loro, e questo mi ha fatto sorridere, mi ha consegnato la lista della spesa piena di ingredienti per cucinare torte come il lievito, introvabile. L’ho immaginata lì, in cucina, da sola, a preparare un dolce tutto per lei. Mi invitano spesso a prendere un caffè con loro, vogliono parlare. Ma, vuoi per una questione di sicurezza vuoi per il tempo che è pochissimo visto che ogni giorno aiutiamo centinaia di persone, siamo costretti a declinare e questo ci fa male».
Stefano, però, ci fa notare che non ci sono solo gli anziani costretti a stare a casa, lontani dalla famiglia, ma anche gli «anziani che un tetto non ce l’hanno» e quelli che «sono stati sfrattati da poco e che adesso si trovano per strada», talvolta multati perché non sanno dove andare, come denunciato da Open.
«Vogliono parlare, si sentono soli e sono preoccupati per i figli al Nord»
Gabriele Petrillo, invece, ha 37 anni ed è un volontario della Croce Rossa di Milano. Lo raggiungiamo al telefono, forse nell’unico momento in cui non è in giro ad aiutare gli altri. «Ci sono gli anziani che vogliono raccontarci tutta la storia della loro vita, chi vorrebbe darci una mancia, chi non sa davvero come ringraziarci. E sa cosa ci chiedono di più? In farmacia le mascherine mentre al supermercato il lievito per pizze e dolci. Sono i due “mostri sacri”». «Si crea spesso un rapporto di amicizia, chiediamo loro “come stanno”, se vogliono parlare, noi siamo qui per ascoltarli. Sono preoccupati per i figli che vivono al Nord, si sentono soli. Gli 80enni, ad esempio, li monitoriamo sia per telefono che con visite a domicilio. Ne seguiamo oltre 600. Citofoniamo e ci fermiamo a parlare con loro sul pianerottolo di casa. Molti, però, ed è questo il dramma, non arrivano a fine mese, hanno bisogno di beni di prima necessità» ci conferma Giorgia Mosca che, da volontaria della Comunità di Sant’Egidio di Catania, si occupa della distribuzione del cibo.
Il servizio di “telecompagnia”
Alessia Cannone, invece, è un’assistente sociale del comune di Mola di Bari (25mila abitanti, in Puglia), preposta al segretariato sociale. Innamorata del suo lavoro – lo sentiamo dalla voce – ha predisposto un team di quattro psicologhe. Tutte donne, tutte giovanissime, dai 20 ai 27 anni, volontarie. Loro si chiamano Giada, Antonella, Nica e Roberta che svolgono un servizio di “telecompagnia”: guai a chiamarlo “servizio sociale”, altrimenti si rischia di “spaventare” gli anziani che, in questo periodo, hanno bisogno di essere tranquillizzati.
Un team di quattro giovani psicologhe
C’è, ad esempio, nonna Elvira che chiama tutti i giorni, che «canta, invia lettere e disegni tramite i volontari», che non ha fatto mancare gli auguri di Pasqua. E che ha fatto loro una promessa: «Ragazze, appena tutto sarà finito, vi aspetto nella mia casa a mare. Dobbiamo farci un pranzo tutte insieme». Elvira è «premurosa», è una forza della natura, ha 80 anni: alla figlia ha detto di stare tranquilla, «tanto ci sono le ragazze che mi fanno compagnia». Le “ragazze” sono gli angeli di Mola di Bari. Ma dall’altra parte ci sono anche i figli, che abitano al Nord, e che, preoccupati, hanno chiamato il comune di Mola di Bari per chiedere di prendersi cura dei loro genitori.
Non tutti accettano di farsi aiutare: «Noi ci avviciniamo a loro con la “scusa” della spesa a domicilio e non parliamo mai di “servizio sociale”, altrimenti scappano. Poi ci sono anche quelli che rischiano davvero di morire di fame e così interveniamo con il Banco alimentare. Spesso le pensioni non bastano per far fronte a tutte le spese». «Il mio augurio è di vederli presto al parco, in strada come prima. Ora, però, non è il momento, dobbiamo tutelarli e aiutarli» conclude Alessia.
Foto in copertina: Pixabay
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