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Coronavirus, lo studio del San Raffaele sui soggetti più a rischio: «Importante nella fase due tutelare gli anziani, ma non possiamo tenerli ai domiciliari» – L’intervista

28 Aprile 2020 - 14:57 Fabio Giuffrida
Oltre agli anziani, massima attenzione anche a chi ha un tumore maligno, chi soffre di ipertensione arteriosa o chi è affetto da una malattia coronarica. Ecco cosa dice lo studio dell'ospedale San Raffaele di Milano

Le categorie più a rischio, quindi quelle da proteggere con grande attenzione nella fase 2, sono le persone che hanno un’età avanzata, chi ha un tumore maligno in corso, chi soffre di ipertensione arteriosa o chi è affetto da una malattia coronarica. A metterlo nero su bianco sono i medici dell’ospedale San Raffaele di Milano che hanno condotto uno studio clinico su 1.000 pazienti contagiati dal Coronavirus.

«Bisogna evitare che i pazienti più a rischio arrivino in ospedale in condizioni già critiche, altrimenti i trattamenti finiscono per avere un impatto minore. Bisogna “salvarli” prima, tenendoli sotto osservazione», spiega a Open il professor Alberto Zangrillo, direttore dell’unità di Anestesia e Rianimazione del San Raffaele di Milano.

«Sorvegliare e tutelare gli anziani»

«Gli anziani? Dobbiamo tutelarli e sorvegliarli, non possiamo di certo metterli agli arresti domiciliari solo perché hanno più di 65 anni e magari hanno anche la sfortuna di avere una patologia. Devono pian piano tornare a una vita normale con tutte le tutele del caso e ovviamente con un intervento tempestivo già ai primi campanelli d’allarme», continua.

«Attraverso gli indicatori individuati possiamo riconoscere in anticipo i pazienti che svilupperanno la forma più grave della patologia – aggiunge, invece, il professor Fabio Ciceri, primario di Ematologia che ha condotto lo studio con Zangrillo – e intervenire più precocemente ed efficacemente usando le terapie che già stiamo testando con discreto successo su pazienti in condizioni più avanzate».

«Dobbiamo convivere con il virus»

«I tamponi e i test sierologici? Indubbiamente conoscere il profilo immunitario dei pazienti più a rischio non sarebbe male, ma siamo consapevoli, ad esempio, dei limiti della sierologia. I tamponi, invece, servono soprattutto a chi dovrà a tornare a lavoro dal 4 maggio», dice Zangrillo.

«Dovremo convivere con questo virus – aggiunge – dobbiamo prenderne consapevolezza, al momento non abbiamo nemmeno l’arma letale (il vaccino, ndr), quindi dobbiamo difenderci prestando massima attenzione alle categorie più esposte al virus e anche agli asintomatici che sono dei potenziali “contagiatori”. Dobbiamo avvicinarci, allora, a una “normalità” mentale, altrimenti rischiamo di far emergere altre turbe, altri problemi».

E sul rischio più volte denunciato dalle regioni del Sud di una fuga di studenti e lavoratori fuorisede che, di fatto, potrebbero contagiare mamme e nonne, dice: «Tutti noi vogliamo bene ai nostri genitori e ai nostri nonni. Dobbiamo essere responsabili e intelligenti, non serve il “metro”, ma il buonsenso, ne sono convinto».

Studio condotto su 1.000 pazienti

Lo studio clinico, condotto al San Raffaele di Milano su 1000 pazienti, suggerisce la necessità di uno stretto coordinamento tra la medicina del territorio (che è contatto diretto con i pazienti e quindi può agire con tempestività, scongiurando ricoveri e mortalità) e gli ospedali ad alta specializzazione (che hanno l’esperienza della malattia e i farmaci innovativi a disposizione) così da avviarci, in sicurezza, alla tanto attesa fase 2.

Foto in copertina di Pixabay

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