L’imprenditore cinese Francesco Wu: «Bisognava chiudere tutto il 24 febbraio, noi lo abbiamo fatto ma ci hanno preso per pazzi e untori»
«Se tutti avessero chiuso il 24 febbraio, come abbiamo fatto noi italo-cinesi a Milano, oggi saremmo già alla fase 3 e soprattutto non avremmo avuto tutti questi morti per Coronavirus. Non vogliamo fare i “primi della classe” ma noi avevamo già intuito la gravità della situazione, anche grazie alle testimonianze che arrivavano dalla Cina, e l’avevamo detto più volte senza, però, essere mai ascoltati». A parlare a Open è Francesco Wu, punto di riferimento per la comunità cinese in Lombardia, referente di Confcommercio Milano per l’imprenditoria straniera e proprietario di ristoranti.
Reportage dell’1 febbraio nella Chinatown milanese tra insulti, ristoranti semideserti e mascherine introvabili | Video di Fabio Giuffrida per Open
Commercianti e ristoratori, soprattutto nella Chinatown milanese, hanno chiuso ben prima del lockdown. Non hanno aspettato le imposizioni del governo italiano, hanno fatto prevalere il loro buonsenso. E le immagini (qui il video di Open) di una via Paolo Sarpi vuota già a febbraio ne sono una testimonianza.
«Dal 24 febbraio ci siamo barricati a casa, qualcuno non è andato nemmeno a fare la spesa al market. Meglio mettersi davanti a un pc e farla online. Abbiamo chiuso i nostri negozi perché non volevamo contribuire alla diffusione del virus. Abbiamo fatto la nostra parte, siamo stati responsabili nei confronti dei clienti e della collettività. A fine febbraio quando gli esperti in tv dicevano semplicemente di stare attenti e di continuare a fare la vita di prima, noi dicevamo di non sottovalutare il problema. La verità è che bisognava chiudere tutto già tempo prima».
La Chinatown milanese deserta il 25 febbraio | Video di Fabio Giuffrida per Open
Turni, termoscanner e meno posti a sedere
Questi sono stati mesi duri e quelli che verranno, forse, saranno ancora peggio, soprattutto per l’economia: «I ristoranti stimano perdite anche per centinaia di migliaia di euro al mese. Così non si possono pagare né gli affitti né tanto meno i fornitori. Lei pensa forse che nei prossimi mesi ci risolleveremo? Certo che no! Lei pensa che dal 4 maggio o dall’1 giugno tutto tornerà come prima? Certo che no! La gente non verrà più come prima nei nostri locali».
Lo sforzo per riorganizzarsi c’è, spiega Wu: «I ristoratori si stanno dotando di termoscanner per misurare la febbre ai clienti già all’ingresso. Ovviamente diminuiremo i posti a sedere e faremo dei “turni”: 7, 8.30 e 10. Purtroppo, lo dico già adesso, non si potrà restare al tavolo 3-4 ore. Bisogna dare la possibilità a tutti di mangiare. Ah, saremo rigidissimi sul distanziamento sociale ma non installeremo di certo i divisori in plexiglas sui tavoli».
«Sarà una strage di famiglie e aziende»
«Mi creda, c’è chi dovrà licenziare i propri dipendenti, tanti perderanno il posto di lavoro. Temiamo che sarà un disastro, non so come usciremo da questa situazione. Sarà una strage non solo di aziende ma anche di famiglie se il governo non deciderà di aiutarci. E poi mi chiedo: a che serve pagare tasse e contributi in tempi di “pace”? Mi aspetto, infatti, che lo Stato, in tempi duri come questo, aiuti tutti, dando una mano soprattutto a chi ha perso il lavoro. Servirebbe un reddito – mi lasci passare il termine – di “sopravvivenza” e non solo di “cittadinanza” per chi non beneficia già di ammortizzatori sociali. Servono anche contributi a fondo perduto per chi ha attività commerciali perché così, senza aiuti reali e immediati, non siamo di certo pronti alla fase 2».
«E per questo motivo meno della metà dei ristoratori italo-cinesi riaprirà il 4 maggio con l’asporto o le consegne a domicilio – ci spiega – Meglio aspettare due settimane in più che rischiare. Che senso ha riaprire per non lavorare? La priorità è essere cauti, altrimenti il rischio è che i contagi tornino a salire e nessuno di noi ha voglia di tornare alla fase 1». Quella della reclusione forzata a casa.
Comunità cinese discriminata
E infine Francesco Wu, tra i leader della comunità cinese in Italia oltre che a Milano, si toglie un “sassolino” dalla scarpa: «La campagna social “abbraccia un cinese” è nata come reazione alle discriminazioni ingiustificate che abbiamo subito. Non abbiamo mai contribuito al contagio e, anzi, siamo i meno colpiti dal virus. Altro che untori come ci dicevano a fine gennaio» spiega, ricordando come la comunità cinese sia stata presa di mira con l’accusa, del tutto falsa, di aver portato il Covid-19 in Italia.
A parlare sono anche i dati pubblicati il 20 aprile da Youtrend secondo cui il 93,5% dei contagi della Lombardia – la regione più duramente colpita dal Coronavirus – riguarda cittadini italiani mentre del restante 6,5% solo una piccolissima parte è di nazionalità cinese.
Per settimane sono circolate bufale su WhatsApp e Facebook, come questa risalente al 14 febbraio, che hanno messo in ginocchio i negozi cinesi | Video di Fabio Giuffrida per Open
Foto in copertina: Matteo Bazzi per Ansa
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