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Carceri, Conte e Di Maio difendono Bonafede: «Piena fiducia nel suo operato»

04 Maggio 2020 - 18:45 Olga Bibus
«Se nominano Di Matteo è la fine», avrebbero detto i boss intercettati. Lo ha dichiarato il magistrato antimafia Nino Di Matteo nel corso della trasmissione Non è l'Arena di Massimo Giletti

«È un’ipotesi tanto infamante quanto infondata e assurda» dice il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede dopo ore di polemiche scoppiate per le dichiarazioni del magistrato antimafia Nino Di Matteo sul ripensamento della sua nomina a capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria dopo alcune dichiarazioni di boss mafiosi. «Ho sempre agito a viso aperto nella lotta alle mafie», scrive Bonafede su Facebook. A sostegno del ministro sono intervenuti anche il premier Giuseppe Conte e l’ex capo politico del M5s Luigi Di Maio. «Piena fiducia nel suo operato», avrebbe detto Conte in una telefonata allo stesso ministro della Giustizia.

Bonafede si difende

Bonafede si difende ricostruendo i fatti di quei giorni: «È sufficiente infatti ricordare che, quando decisi di contattare il Dott. Di Matteo, quelle esternazioni di detenuti mafiosi in carcere erano già presso il mio Ministero da qualche giorno. Non solo. Furono oggetto di specifica conversazione in occasione della prima telefonata con cui, il 18 giugno 2018, proposi al dottor Di Matteo, in piena consapevolezza di ciò che questo rappresentava, di valutare la possibilità di entrare nella squadra che stavo costruendo per il ministero della Giustizia. D’altronde, se mi fossi lasciato influenzare dalle reazioni dei mafiosi non avrei certo chiamato io il dott. Di Matteo per valutare con lui la possibilità di collaborare in una posizione di rilievo».

A Di Matteo, Bonafede avrebbe offerto un ruolo «nella squadra che stavo costruendo per il ministero della Giustizia», scrive Bonafede, una posizione simile a quella era che stata di Giovanni Falcone, ma ancora da creare. Di Matteo era più orientato alla nomina a capo del Dap, il ministro e il magistrato ne hanno discusso in un secondo incontro, quando però la nomina era stata già fatta: «Con profondo rammarico, gli spiegai che, dopo l’incontro del giorno prima, avevo già assegnato quell’incarico a un altro magistrato. Ricordo perfettamente che gli dissi che sarebbe stato comunque “la punta di diamante del Ministero contro la mafia”. Lui ribadì legittimamente la sua scelta. Ci siamo salutati entrambi con rammarico per non aver concretizzato una collaborazione insieme».

La rivelazione di Di Matteo

Nella puntata di ieri sera, 3 maggio, a Non è l’Arena su La7, Di Matteo aveva detto: «A giugno 2018, il ministro Bonafede mi chiese se ero disponibile ad accettare il ruolo di capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), o, in alternativa, quello di direttore generale degli affari penali. Chiesi 48 ore di tempo per dare una risposta».

«Quando ritornai, avendo deciso di accettare la nomina a capo del Dap, il ministro mi disse che ci aveva ripensato e nel frattempo avevano pensato di nominare Basentini», continua Di Matteo, che nel corso dell’intervento telefonico spiega anche come in quello stesso periodo ci siano state delle intercettazioni telefoniche di alcuni boss, detenuti al 41 bis, che si erano preoccupati per la nomina del magistrato.

«Se nominano Di Matteo è la fine», avrebbero detto i boss intercettati. Incalzato da Giletti che insiste sul presunto legame tra la mancata nomina e le intercettazioni – «lei ci fa capire che il timore che a sua nomina potesse portare reazioni è stata messa da parte per un personaggio meno invasivo e forte, rispetto a lei», dice il conduttore -, il magistrato risponde: «Io sto riportando un fatto».

Dopo l’intervento di Di Matteo, il ministro Bonafede è intervenuto in trasmissione per replicare. «Sono esterrefatto nell’apprendere che viene data un’informazione che può essere grave per i cittadini, nella misura in cui si lascia trapelare un fatto sbagliato, cioè che la mia scelta di proporre a Di Matteo il ruolo importante all’interno del Ministero sia stata una scelta rispetto alla quale sarei andato indietro perché avevo saputo di intercettazioni», dice il ministro.

«Gli ho parlato della possibilità di fargli ricoprire uno dei due ruoli di cui ha parlato lui, gli dissi che tra i due ruoli per me era più importante quello di direttore degli affari penali, più di frontiera nella lotta alla mafia ed era stato il ruolo ricoperto da Giovani Falcone. Alla fine dell’incontro mi pare che fossimo d’accordo, tanto che il giorno dopo lui mi chiese un colloquio e mi spiegò che non poteva accettare perché voleva ricoprire il ruolo di capo del Dap», afferma Bonafede.

La scelta a capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è ricaduta poi su Francesco Basentini, che di recente si è dimesso dopo le polemiche sulle rivolte nelle carceri e sulla scarcerazione di alcuni boss tra cui Pasquale Zagaria. Al suo posto è stato nominato il procuratore generale di Reggio Calabria, Dino Petralia.

Le reazioni politiche

Le forze politiche, tanto di maggioranza quanto quelle di opposizione, sono in stato di agitazione per la questione sollevata da Di Matteo. Lo scenario prefigurato da Matteo Renzi ai microfoni de L’aria che tira è dei peggiori: «Siamo in presenza di una clamorosa vicenda giudiziaria che rischia di essere il più grave scandalo giudiziario degli ultimi anni – ha detto il leader di Italia Viva, chiedendo ai protagonisti della vicenda di fare chiarezza -. «Prima di parlare di mozioni di sfiducia, che fa la destra, vogliamo vedere. Prima ancora di arrivare lì voglio vedere se è un regolamento di conti, voglio sapere la verità».

Intanto dalle opposizioni hanno già iniziato a invocare le dimissioni del ministro della Giustizia: «Ai disastri si aggiungono ombre sul comportamento del guardasigilli. Fossi Alfonso Bonafede, domani mattina rassegnerei le mie dimissioni dal ministero», scrive su Facebook Giorgia Meloni. «Abbiamo chiesto che il ministro venisse a dare spiegazioni in Commissione antimafia, ma dopo quanto raccontato da Di Matteo è bene che si dimetta oggi stesso. La lotta alla mafia è una cosa seria», rincara il segretario della Commissione parlamentare antimafia Wanda Ferro, sempre di Fratelli d’Italia.

Da Forza Italia arriva l’aut aut di Mariastella Gelmini, capogruppo del partito alla Camera: «Le gravissime accuse del pm non possono cadere nel vuoto: o Di Matteo lascia la magistratura o Bonafede lascia il ministero della Giustizia». Perentori i parlamentari della Lega in commissione antimafia che, in una nota, affermano: «Bonafede non può più essere il ministro della Giustizia. Dopo le dichiarazioni gravissime del dottor Di Matteo e le risposte imbarazzanti rese dallo stesso Guardasigilli, non resta che questa decisione già indicata da tempo dalla Lega sin dal primo giorno dello scandalo sulle scarcerazioni ai boss mafiosi».

Predicano cautela dal Partito democratico: il deputato e responsabile giustizia del Pd, Walter Verini, e il senatore e capogruppo in commissione antimafia Franco Mirabelli, esplicano la posizione del partito: «Le dichiarazioni televisive del magistrato Di Matteo su vicende e ipotesi risalenti a due anni fa hanno prodotto elementi di confusione in un campo nel quale confusione non deve essere ammessa: la lotta alle mafie. Per la stessa ragione appare irresponsabile l’atteggiamento di chi usa un tema come la lotta alle mafie per giustificare l’ennesima richiesta di dimissioni di un ministro, approfittando di queste dichiarazioni estemporanee. Siamo certi che il ministro al più presto verrà a riferire in commissione e in parlamento sull’impegno del governo contro le mafie».

In difesa di Bonafede è intervenuto il premier Giuseppe Conte che secondo quanto riporta l’agenzia AdnKronos ha telefonato al ministro per esprimergli «piena fiducia». Luigi Di Maio ha scritto un post a sostegno del Guardasigilli. «Bonafede ha sempre dimostrato di avere la schiena dritta e di non fermarsi davanti a nessuno, mettendo al primo posto solo gli interessi dei cittadini. Andiamo avanti orgogliosi della nostra storia e consapevoli di avere un’unica certezza: mai un passo indietro davanti ai mafiosi e ai corrotti», ha scritto l’ex capo politico del M5s su Facebook.

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