Coronavirus. Gli esperti italiani che hanno “chiuso l’Italia” sono i più scarsi al mondo? Spieghiamo l’h-index
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In un articolo del direttore de Il Tempo Franco Bechis, si sostiene come «i virologi che hanno imposto la chiusura dell’Italia al governo», a seguito della pandemia di Coronavirus, sarebbero «i più scarsi al mondo» per il loro h-index. Di questo parametro per valutare l’autorevolezza degli scienziati avevamo già trattato diverse volte in passato, ma è bene tornarci evidenziando alcune questioni sempre legate all’articolo di Bechis.
Si tratta di un indice che valuta quante volte i lavori a cui ha partecipato il singolo ricercatore sono stati citati, in proporzione anche alla quantità di ricerche svolte (ci perdonerete l’eccessiva semplificazione). Ad ogni modo, come facevamo notare in una precedente intervista, in Italia esiste un dibattito su quanto le citazioni tra gruppi di ricerca sodali – o le auto-citazioni – possano essere determinanti nel rendere l’h-index meno affidabile.
Nell’elenco riportato da Bechis compaiono diversi nomi, tra cui Paolo Ascierto (63), Giuseppe Ippolito (61), Giovanni Rezza (59), Andrea Crisanti (49) e Ilaria Capua (48). Tutti, secondo l’autore, «ad anni luce di distanza da un Fauci, da un Mantovani e da un Remuzzi». Tra i nomi con «scarso» h-index (sempre secondo Bechis) ci sono Walter Ricciardi (39), Pier Luigi Lopalco (33) e Roberto Burioni (26).
Facciamo presente che alcuni degli scienziati menzionati nel recente articolo, come Roberto Burioni, avevano già pizzicato Bechis nel pubblicare contenuti sui vaccini non conformi con quanto noto dalla Comunità scientifica. Curiosamente manca nella lista Guido Silvestri (h-index: 66), collaboratore nel sito di Burioni, MedicalFacts.
L’h-index non serve se non è contestualizzato
La presenza di Capua in questa lista è emblematica, perché ci comunica da sé quanto sia inutile visionare gli h-index, senza prima contestualizzare l’attività dei ricercatori. Parliamo della virologa di fama mondiale che ha contribuito a rendere pubblici i dati genomici sui virus, cosa che con l’emergere del nuovo Coronavirus ha fatto la differenza.
Roberto Burioni è stato invece citato su Science come colui che ha maggiormente combattuto contro i movimenti No vax. Un argomento che Bechis dovrebbe conoscere.
Del resto fa specie che il Direttore usi Anthony Fauci come paragone. Parliamo del virologo e consulente della Casa Bianca – “poco ascoltato” da Trump – per l’emergenza Coronavirus negli Stati Uniti.
Perché l’h-index da solo non basta
Secondo quanto riportato da Bechis, i lettori potrebbero capire che degli esperti dallo «scarso» h-index avrebbero «chiuso l’Italia». Ma il primo ad ammettere che delle misure di distanziamento sociale tempestive avrebbero salvato tante vite in Usa è proprio Fauci, in cima alla speciale classifica di Bechis.
Diamo allora un’occhiata all’h-index degli «esperti» alla base delle tesi amate dai «free vax» a cui Bechis ha dato spazio in precedenti articoli, sul giornale da lui diretto. Prendiamo un suo articolo del 23 dicembre 2018, intitolato «State attenti a quei vaccini. C’è tutto, non quel che serve».
Il testo si basa su una analisi della associazione free vax Corvelva, rivelatasi infondata, come ampiamente dimostrato in una analisi di Enrico Bucci su Cattivi Scienziati. Tra i principali sostenitori di questo genere di «studi» troviamo il presidente dell’Ordine dei Biologi Vincenzo D’Anna (h-index: 0), Stefano Montanari (h-index: 7) e Maria Antonietta Gatti (h-index: 21).
Effettivamente possiamo trovare alti h-index in scienziati che hanno affermato le peggior cose. Luc Montagnier, il quale sostiene che l’acqua ha memoria e che il coronavirus è fuggito da un laboratorio, ha un h-index pari a 71. È più alto di quello di Burioni, ma piuttosto scarso se pensiamo che si tratta comunque di un premio Nobel.
Viceversa, se diamo un’occhiata all’h-index di Andrea Gambotto, uno dei primi firmatari dello studio sul vaccino-cerotto PittCoVacc contro il SARS-CoV2, scopriamo che è pari a 46.
Conclusioni
Questo indice è molto utile per smascherare eventuali «ciarlatani» che si spacciano per ricercatori seri, usando il proprio camice per far valere il principio di autorità, ma rischia di diventare piuttosto contraddittorio se viene usato per soppesare i veri scienziati.
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