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Il caso Di Matteo-Bonafede: senza risposte chiare rischia di gonfiarsi sempre di più

06 Maggio 2020 - 13:37 Enrico Mentana
Bisogna tornare alle domande senza risposta: perché Bonafede cambiò cavallo? Perché Di Matteo ha taciuto due anni? E perché ora accusa, proprio subito dopo le dimissioni di Basentini?

Gli interrogativi sono ancora tutti lì. Perché fu bloccata la nomina di Nino Di Matteo alla guida del Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria che due anni fa gli era stata proposta dal ministro della giustizia Alfonso Bonafede? Come mai il magistrato ha atteso due anni per denunciare quello che evidentemente considera un segnale ai boss in cella?

Questo grumo di domande attende ancora risposte meno abborracciate e rituali, quando non evasive, di quelle arrivate dagli interessati tra domenica sera e oggi. Ai quesiti senza risposta in realtà ne va aggiunto un altro, e non di poco conto, che è stato fin qui oscurato: perché il posto promesso a Di Matteo fu poi dato al meno conosciuto, ma anche meno titolato Basentini? Ovvero: perché la poltrona più importante (e remunerata) di nomina del guardasigilli fu data all’allora procuratore aggiunto di Potenza e non a altri magistrati che per titoli e competenza specifica potevano più autorevolmente ambire a quella carica?

Andiamo per ordine. L’accusa di Di Matteo tocca il ministro Bonafede ma mira evidentemente più in alto. Nell’intervista a Liana Milella stamattina su la Repubblica, il magistrato ricorda che Bonafede gli disse, proponendogli il ‘contentino’ della Direzione degli Affari Penali del ministero, che per quel ruolo “non c’è dissenso o mancato gradimento che tenga”. Il che vuol dire che invece sul Dap qualcuno aveva manifestato dissensi o addirittura posto veti. Ma chi?

Ovviamente molti in queste ore cercano di mettere in mezzo il Quirinale, ricordando quel che avvenne otto anni fa, ai tempi del clamoroso conflitto di attribuzione attorno all’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, riguardo all’intercettazione di un colloquio tra il predecessore di Mattarella, Napolitano, e l’ex ministro dell’interno Mancino, imputato nel processo.

Tutto nacque anche quella volta da una clamorosa rivelazione fatta da Di Matteo nel corso di un’intervista (a la Repubblica, 22 giugno 2012): che erano state intercettate conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, considerate allo stato irrilevanti, ma che la Procura si sarebbe riservata di utilizzare. Una vera e propria bomba istituzionale.

Federico Cafiero De Raho, Alfonso Bonafede, Nino Di Matteo|ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI

Quel nastro fu poi bruciato, alla fine di una disputa durissima culminata in una sentenza della Corte Costituzionale completente avversa alla Procura di Palermo. E nel testo di quella sentenza trovava spazio anche una dura rampogna proprio a Di Matteo: “Già la semplice rivelazione ai mezzi di informazione dell’esistenza delle registrazioni costituisce un vulnus che deve essere evitato”.

Tra i giudici costituzionali che diedero via libera a quella sentenza c’era anche Sergio Mattarella, è un fatto. Ma davvero si può credere che sei anni dopo, a causa di quello scontro, il presidente della Repubblica abbia bloccato una nomina interna al ministero della giustizia? Secondo noi no, nella maniera più assoluta.

Però in tanti ammiccano, evocano l’ombra del Quirinale, disegnano questo retroscena facendone la classica ciambella di salvataggio, un potere esterno a cui alludere per salvare capra e cavoli, il Pm irreprensibile e per questo penalizzato, e il ministro senza macchia, che per di più tace sulle pressioni per senso dello Stato. Troppo tardi e troppo comodo. Perciò bisogna tornare alle domande senza risposta: perché Bonafede cambiò cavallo? Perché Di Matteo ha taciuto due anni? E perché ora accusa, proprio subito dopo le dimissioni di Basentini?

E già che lo citiamo, il dottor Basentini: perché Bonafede preferì lui a Di Matteo e a tanti altri titolati magistrati? Perché proprio il procuratore aggiunto di Potenza, che era diventato noto solo per quella clamorosa inchiesta Tempa Rossa, con indagati illustri, potenti connivenze politiche evocate, gli interrogatori di ben quattro ministri (una costretta alle dimissioni) e poi il desolante finale giudiziario di una archiviazione generale? Ecco, vista anche la disastrosa gestione delle rivolte nelle carceri, visto il numero impressionante di mafiosi fatti uscire di prigione in poche settimane, ora infine può spiegare Bonafede perché lo scelse due anni fa?

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