L’università del futuro torna in aula, ma non per tutti. «In arrivo 25 milioni per colmare il “digital divide”» – L’intervista al ministro Manfredi
Se il Governo non ha ritenuto essenziale riaprire le scuole nella Fase 2 per timore che potessero trasformarsi in focolai di Coronavirus – mettendo in pericolo anche le vite degli insegnanti una parte dei quali appartiene ad una fascia d’età più a rischio – l’università è addirittura un gradino più in giù in quanto a priorità, come dimostra il poco spazio che ha occupato finora nel dibattito pubblico. Anche nel suo caso il ritorno alla “normalità” dovrà aspettare fino a dopo l’estate, periodo in cui, spiega il ministro dell’Università e della Ricerca Gaetano Manfredi a Open, continuerà in parte la formazione online.
Con tutta probabilità non ci sarà quindi un ritorno “in massa” negli atenei italiani a settembre. Nel frattempo, continuano i corsi e gli esami online, come continua anche la preparazione degli studenti ai concorsi nazionali e gli esami di ammissione all’università, che potranno svolgersi in parte online (i secondi) e in parte in presenza (i primi). Sono però diversi i problemi che nell’emergenza contribuiscono a rallentare la didattica, a partire da un numero, quello degli studenti universitari che hanno difficoltà di accesso alla strumentazione tecnologica necessaria per seguire le lezioni e fare gli esami da casa: circa 100mila in tutto, secondo i dati del ministero.
Ministro, ci sono alcune università che sembrano seguire un percorso indipendente. Per esempio il Politecnico di Torino ha detto che le lauree online si faranno fino a luglio, mentre all’università di Catania dovrebbero continuare fino a settembre. C’è un problema di allineamento?
«Noi abbiamo stabilito delle linee guida che sono unitarie a livello nazionale. È chiaro che seguono dei principi che vanno poi applicati in maniera specifica a seconda delle varie realtà territoriali. Uno di questi è la situazione di criticità sanitaria delle varie regioni, mentre un altro aspetto è il livello di mobilità degli studenti. Molte università contano diversi studenti fuori sede che, da questo punto di vista, sono pesantemente penalizzati. In base a questi principi ogni ateneo ha adottato un proprio piano dettagliato di applicazione, che sarà modulato progressivamente in base all’andamento dell’epidemia. È il Dpcm stesso a prevedere che si possano fare esami e lauree in sede, poi ogni istituto le applica in base alle proprie esigenze. Alcuni preferiscono proseguire con gli esami online mentre altri, come l’Università Sapienza di Roma, stanno valutando se fare le lauree in sede già a luglio. Si tratta di flessibilità, non di disomogeneità»
Per quanto riguarda la “Fase 3” invece era previsto che a settembre tutte le università avrebbero offerto una parte di didattica online e una parte invece “in persona”. È ancora così?
«Per la Fase 3 tutte le università si devono dotare di un piano dettagliato da inviare al ministero, anche perché stiamo provvedendo noi ad un finanziamento specifico, sia per potenziare le infrastrutture digitali, sia per poter poi sostenere i maggiori oneri che sono legati a questa doppia azione – online e in presenza. Anche in questo caso le scelte che faranno le università dipenderanno dalle specificità locali e varieranno da corso di laurea a corso di laurea. Tendenzialmente le università che hanno pochi studenti fuori sede, non hanno studenti internazionali, hanno corsi piccoli, probabilmente sceglieranno di fare prevalentemente attività in presenza. Quelle invece che contano diversi studenti fuori sede o internazionali e hanno grandi affollamenti in aula, avranno una modulazione che tenderà ancora per un po’ a far prevalere la formazione online, con una presenza in sede più ridotta. Anche questo sarà un piano molto dettagliato, che ogni ateneo dovrà presentare al ministero»
Invece le attività di ricerca hanno ripreso a pieno regime?
«Sì, ho parlato con tutti i presidenti degli enti di ricerca e anche con i direttori e responsabili di centri di ricerca: da questo punto di vista l’attività tornerà presto a regime. Colgo l’occasione per ricordare che nell’area connessa all’emergenza – per esempio la biomedica – l’attività di ricerca non si è mai fermata. In tutti gli altri settori i lavori sono rallentati, ma stanno ripartendo grazie a piani di sicurezza molto efficaci»
Uno dei problemi che riguarda non soltanto la scuola ma anche l’università è quello del digital divide. Sono previsti degli aiuti in questo senso?
«Abbiamo due tipologie di problemi. Da un lato gli studenti collocati in aree dove ci sono difficoltà con la banda: si tratta di un problema che non può essere risolto soltanto dal ministero, ma che richiede un investimento del governo per rafforzare le zone meno infrastrutturate. Dall’altro il tema dell’accesso alla rete: un tema anche economico, su cui il ministero ha intenzione di intervenire. Secondo le nostre stime, i ragazzi che hanno avuto problemi di accesso possono essere circa il 10% di coloro che hanno seguito le lezioni – circa 100mila su un totale di 1 milione e 200mila. Noi vogliamo intervenire partendo dal decreto di maggio con un sostegno a questi studenti. Stiamo valutando quale possa essere lo strumento migliore, se un voucher o una forma di contributo finanziario, anche d’accordo con quelli che sono i grandi gestori italiani»
In che ordine di grandezza sarà l’intervento?
«Pensiamo di investire attorno ai 25 milioni di euro»
Sono previsti altri aiuti oltre a questi?
«La nostra intenzione è di intervenire su due assi. Da un lato pensiamo di fare un intervento sulle casse universitarie, quindi aumentare il contributo alla no-tax area, sia intervenendo sui redditi molto bassi, sia sui redditi che hanno avuto un crollo legato all’emergenza. Dall’altro intervenendo sul fondo delle borse di studio per ampliare l’accesso. Anche questo è previsto nel decreto di maggio»
Un altro problema comune a molti studenti è come fare per pagare il canone d’affitto. Alcune regioni, come la Sicilia, si sono già mosse per aiutare gli studenti in difficoltà. Voi cosa pensate di fare?
«Questa è una misura più complicata da mettere in atto, perché in realtà va applicata dalla Regione, dato che sono le aziende per il diritto allo studio che possono intervenire a sostegno degli studenti. Io sono in contatto con il sistema regionale per vedere in che misura possiamo intervenire, per decidere se farlo direttamente o indirettamente aiutando le Regioni»
Una domanda riguardo ai concorsi. Ci sono rappresentanze studentesche che chiedono l’abolizione dell’esame di abilitazione in Farmacia, per esempio, o che chiedono di fare una sola prova orale.
«Noi abbiamo fatto una serie di interventi straordinari legati all’emergenza. Venerdì scorso abbiamo emanato un decreto che ha consentito a tutte le professioni di poter realizzare l’esame di stato soltanto con una prova orale. Per tutte quelle che dipendono dal ministero dell’Istruzione e della Ricerca è previsto un esame di stato “semplificato”, con una prova orale unica. Sul tema delle lauree abilitanti, credo che sia necessario aumentare il numero – mi riferisco in particolare a farmacia ed odontoiatria. Ma non si tratta di qualcosa che possiamo fare con un decreto legge bensì di un’operazione che richiede una revisione complessiva da concordare con gli ordini professionali»
I concorsi e gli esami di accesso all’università potranno svolgersi online?
«Per quanto riguarda le prove locali, le università sono autonome nel decidere le modalità – dal canto mio ho suggerito di fare in modo le ammissioni avvengano il più possibile in sicurezza, e laddove sarà possibile farle online, si faranno online. Per quanto riguarda i concorsi nazionali – faccio riferimento a veterinaria, architettura e medicina – stiamo ragionando sulle modalità, ma dovranno svolgersi in presenza, perché si tratta di una prova unica a livello nazionale con un numero di partecipanti molto alto rispetto al numero di posti, dunque con una possibilità di contenziosi molto significativa. Abbiamo già avuto un confronto con il Comitato tecnico scientifico su questo tema e riteniamo che sia possibile farlo in presenza, con gli opportuni criteri di distanziamento e rarefazione dell’accesso in aula»
Anche i programmi Erasmus potranno svolgersi – in parte almeno – online, come è stato ipotizzato in passato?
«Su questo abbiamo un’interazione forte e continua sia con la Commissione europea, sia con l’Agenzia europea che gestisce l’Erasmus. L’orientamento di quest’ultima, che condivido, è che vada sempre garantita la presenza fisica all’estero, dato che fare l’Erasmus non vuol dire solo seguire un corso, ma anche fare un’esperienza di vita in un’altra nazione. Adesso stiamo discutendo sulle modalità: una possibilità potrebbe essere spalmare l’Erasmus su una annualità e fare in modo che una parte si svolga online, almeno finché non ci sono ancora le condizioni sanitarie per garantire una piena mobilità in Europa, e una parte in presenza, quando queste condizioni si saranno ripristinate».
Mi sembra di capire che se ne parlerà più in là, forse a settembre?
«Probabilmente a settembre, comunque stiamo discutendo già su questo argomento».
Nel frattempo sono stati nominati quattro nuovi componenti dell’Anvur [l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca]. Come mai era così urgente farlo adesso?
«Noi associamo l’Anvur soltanto alla valutazione, ma è un organismo che obbligatoriamente dà pareri su tutte le attività didattiche degli atenei – dall’apertura di nuovi corsi di laurea, alle scuole di specializzazioni, alla definizione dei criteri di numerosità delle classi di laurea. Il consiglio era rimasto con soli tre membri, quindi non poteva operare e questo avrebbe creato una serie di problemi enormi. In questa fase vanno accreditate le nuove scuole di specializzazione, i dottorati, i nuovi corsi di laurea che dovranno partire nel nuovo anno accademico e per farlo ci vuole una delibera piena del consiglio»
Un suo augurio per la Fase 3. L’università uscirà cambiata da questa crisi?
«L’emergenza ci ha fatto capire quanto sia importante la ricerca, la formazione, le competenze nella nostra società. Credo che questa opinione debba essere condivisa da tutti. Dobbiamo anche capire che ci sono state delle innovazioni – l’uso del digitale, la possibilità di semplificare molte procedure – che vanno sfruttate. Quindi l’università post-Covid deve mantenere i suoi principi e le sue tradizioni, ma deve anche essere in grado di intercettare il cambiamento»
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