Dal Coronavirus si può guarire anche a 98 anni. La storia di nonna Elisabetta, contagiata in una casa di riposo
Era rimasta contagiata nella casa di riposo di Acilia, nel Lazio. Adesso “nonna Elisabetta”, ricoverata nel reparto Covid dell’istituto dermopatico dell’Immacolata (Idi) l’8 di aprile, è guarita dalla polmonite causata dal Coronavirus. Il reparto l’ha dimessa dopo due tamponi negativi ed Elisabetta è potuta tornare all’istituto delle Suore Cappuccine dell’Immacolata di Acilia dove vive da anni, non avendo più parenti. Proprio nell’istituto circa un mese fa era stato scoperto un focolaio che aveva visto decine di persone contagiate, tra religiose e ospiti. Questa volta però “nonna Elisabetta” sarà in condizioni di maggiore sicurezza e – le è stato garantito – verrà fatta più attenzione a separarla da casi sospetti.
Dopo dieci giorni in gravi condizioni, la guarigione improvvisa
«Abbiamo capito che ce l’aveva fatta quando dal corridoio l’abbiamo sentita chiedere a gran voce un materasso più morbido, perché quello che aveva era troppo duro», racconta Antonio Sgadari, primario del reparto Covid allestito all’Idi. Una volta ricoverata le condizioni della donna, che inizialmente aveva la febbre e lievi difficoltà respiratorie, sono peggiorate all’improvviso, trascinandola in uno stato soporoso.
«Sembrava segnata – continua il primario – l’abbiamo curata con antiretrovirali, antibiotici e antinfiammatori, abbiamo deciso non solo di idratarla ma di nutrirla anche per via parenterale. Tuttavia la paziente continuava a desaturare arrivando in quella zona limite prima dell’intubazione, che comunque sarebbe stata difficile». La svolta è arrivata soltanto dopo 10 giorni in cui la signora è stata in condizioni serie, si è improvvisamente ripresa.
La storia alla fine ha avuto un lieto fine, restituendo non solo la salute alla donna, ma anche ottimismo e entusiasmo al personale medico che ha voluto festeggiare la sua guarigione anche con un piccolo trattamento estetico per il viso. Per il presidente dell’Idi Antonio Maria Leozappa si tratta di «una vittoria della medicina, del personale dell’ospedale, che riafferma i valori della centralità dell’essere umano nella malattia, la cura e l’assistenza ai più bisognosi».
Secondo il primario del reparto Covid allestito all’Idi, in questi casi c’è spesso il rischio di incorrere nel pregiudizio legato al dato anagrafico e solo perché una persona è in età avanzata viene «ritenuta non meritevole di cure che non si negherebbero a chi è più giovane – spiega Sgadari – è come se un anziano non meritasse il consumo di risorse. Ma l’unica cosa che conta è lo stato clinico e funzionale di un paziente, se è recuperabile. L’attaccamento delle persone alla vita – conclude il medico – ci sorprende ogni giorno, come nel caso di Elisabetta».
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