Effetti collaterali: come il Coronavirus non cambierà la democrazia in Italia – Intervista a Massimo Cacciari
Viktor Orbán che ottiene i pieni poteri in Ungheria con il consenso del Parlamento, la Cina che scavalca ancora di più le barriere sul diritto alla privacy per controllare la popolazione. E, due giorni fa, la Federal Reserve – la banca centrale statunitense – che pubblica uno studio sulla correlazione tra influenza spagnola e ascesa del fascismo. Non si pecca di allarmismo a chiedersi se fra i rischi del Coronavirus ci sia anche la tenuta democratica dei governi, o almeno la loro esistenza per come l’abbiamo conosciuta fino a questo momento. Lo abbiamo chiesto a Massimo Cacciari, filosofo e sindaco di Venezia tra il 2005 e il 2010.
Kristian Blickle, economista della Federal Reserve, ha pubblicato uno studio dove vengono mostrate la correlazione fra l’influenza spagnola e l’ascesa del nazismo: secondo questi dati uno dei fattori che prepararono il terreno per l’ascesa di Hitler è stato la mancanza di risorse nelle comunità più colpite dall’epidemia. È possibile che la crisi economica provocata dal Coronavirus, se non tamponata dagli Stati, porti all’affermazione di nuovi estremismi?
«Mi sembra un discorso a capocchia e privo di ogni senso storico. Durante la spagnola il nazismo non era neanche agli inizi. L’affermazione del nazismo è stato favorita dalla grande crisi economica del ’28 e ’29, che lo ha portato ad avere la maggioranza in elezioni in cui non c’è stato nessun colpo di Stato. Rifarsi alla spagnola per spiegare quello che è successo mi sembra una cosa semplicemente risibile. Che le situazioni di emergenza comportino un accentramento dei poteri e un rafforzamento degli esecutivi a scapito delle assemblee legislative, questo è nelle cose. Naturalmente più forte è una democrazia, più ha anticorpi rispetto a questa tendenza. Se una democrazia è debole, è più esposta a rischi di questo genere. Un caso tipico sono i Paesi sudamericani dove le crisi economiche quasi sempre hanno provocato affermazioni di natura autoritaria».
E quanto è forte la democrazia in Italia?
«Il problema per le democrazia in Italia è che queste emergenze sono quotidiane. Una volta la crisi finanziaria, un’altra l’epidemia, in Italia è da quando c’è stata Tangentopoli che siamo in emergenza. E questo ha provocato un deterioramento progressivo delle nostre assemblee legistlative. Sono 30 anni che il Parlamento si limita ad approvare, o no, dei decreti del governo».
L’Ungheria di Victor Orbán e la Cina di Xi Jinping. Abbiamo già esempi di come questa pandemia abbia cambiato, o accentuato, l’assetto di certi governi. In Italia cosa dobbiamo aspettarci?
«Speriamo niente. Francamente. Ci troviamo di fronte a un’emergenza che ha condotto a un forte accentramento. Certo, si poteva fare meglio: la gestione di questa crisi è stata totalmente statalistica. Io sono d’accordo con le regioni. È stato impensabile credere di gestire questa crisi da Roma. Detto questo non corriamo alcun rischio autoritario. I rischi autoritari derivano anche dall’avere leader autoritari. L’idea di correre questo rischio con Conte o Di Maio fa un po’ sorridere, no? Stiamo tranquilli».
Visto quello che è successo con le regioni, è possibile che con questa crisi cambierà la forma delle nostre istituzioni?
«Nessuno ne parla, quindi dubito. Immagino che non se ne farà nulla. Si dice da anni ma si è solo pasticciato di più, come con la riforma del Titolo V. Pur essendo questa crisi una testimonianza evidente che il rapporto tra Stato e regioni non funziona».
La presentazione dell’app Immuni ha aperto un dibatto sulla riservatezza. Roberto Burioni ha scritto che tra privacy e salute c’è una priorità ben definita. Qual è il confine da non superare?
«Mi pare evidente che qualsiasi applicazione di questo genere deve avvenire solo se c’è il consenso dell’interessato, altrimenti non avrebbe senso imporre uno strumento di controllo di questo genere. È però talmente assurda la discussione attorno a questa cosa, visto che funziona solo con dei controlli di massa».
Solo ad aprile 20 milioni di cittadini Usa hanno perso il posto di lavoro. Per il 2020 in Italia il crollo del Pil è previsto sopra l’8%. Oltre a fare da tampone alla crisi con una politica assistenzialista, quale sarà il ruolo dei governi?
«Stabilire le priorità e sapere che non ci saranno risorse per tutti. Avere una strategia di medio periodo per quanto riguarda l’assetto industriale e produttivo del Paese e poi intervenire con politiche che riducono al massimo il disagio per i ceti meno abbienti, per i poveri. Per farlo bisognerà cercare i soldi dove ci sono. Altrimenti si porranno anche questioni di ordine pubblico. Ci vorranno politiche audaci dal punto di vista redistributivo e dal punto di vista fiscale. Soprattutto per Paesi deboli come il nostro. Occorreranno politiche drastiche, scelte radicali con grandi problemi di conflitto politico. Ci dovrà essere un governo forte per portarle avanti. E spero sia questo. Perché altrimenti dovremmo fermarci per le elezioni, con mesi di chiacchiere che in questo momento non servono».
Quale dovrà essere il ruolo dell’Europa?
«L’Europa deve mostrarsi. Si calcola che l’elusione fiscale, non l’evasione, che sfrutta meccanismi intraeuropei e sposta società da un Paese all’altro costi circa 70-80 miliardi all’anno. Basterebbe iniziare a recuperare questa cifra e metterla a disposizione delle imprese come Recovery Fund il prossimo anno e già metà del lavoro sarebbe fatto».
Questa crisi potrebbe portare al ripensamento del sistema economico basato sul libero mercato?
«No, come in tutte le crisi ci sarà una tendenza all’intervento statale. Il capitalismo è sempre stato così: è del tutto insofferente al controllo politico quando è in salute e quando è in crisi lo invoca. Ci sarà una fase in cui lo Stato dovrà intervenire. Ci sarà certamente un rafforzamento dell’intervento pubblico con tutti i rischi che comporta. Questo riguarda noi, ma non riguarda la Cina e la Russia. C’è un problema che Alessandro Aresu, ex allievo mio e di Guido Rossi, ha affrontato in un libro: Le potenze del capitalismo politico. Qui indica come prospettiva vincente sul medio e lungo periodo quella del capitalismo politico: una simbiosi tra regime politico e sistema capitalistico di mercato. È il modello cinese, è il modello russo ed è quello a cui anela Trump».
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