«I politici maschi non capiscono i problemi delle donne con il Coronavirus»: l’accusa della scrittrice cult giapponese Mieko Kawakami
In Giappone, Paese del #KuToo dove le donne sono abituate a chiamare gli uomini “shujin”, ovvero “padrone”, c’è una scrittrice che si è fatta strada scrivendo di “Seni e uova”. Questo il titolo del romanzo di Mieko Kawakami pubblicato nel 2008 che ha venduto più di 250mila copie e le è valsa l’incoronazione come nuova protagonista del mondo letterario in Giappone oltre che la stima di un gigante della letteratura moderna giapponese, Haruki Murakami. A distanza di dieci anni il romanzo è stato finalmente pubblicato in inglese anche se in Italia, purtroppo, le tracce lasciate dalla scrittrice sono ancora poche.
Il suo sito personale riporta una sola citazione in italiano, un articolo pubblicato sulla rivista Internazionale che risale al 2016. Eppure i suoi romanzi, tradotti in varie lingue europee – oltre all’inglese anche in spagnolo, in portoghese e in norvegese – hanno raggiunto il successo di pubblico e di critica, dando luogo a non poche controversie in Giappone dove il concetto di famiglia e i rapporti di genere sono oggetto di ampie contestazioni, alcune silenziose, come il crollo nel tasso di natalità, altre rumorose e pungenti, come i romanzi di Kawakami.
Da Murakami al Coronavirus: una strada ancora in salita
Pubblicato inizialmente come una novella nel 2008 (l’autrice lo ha espanso successivamente), “Seni e uova” racconta la storia di tre donne – due sorelle e una figlia/nipote – che affrontano alcune problematiche intimamente legate al “corpo femminile”, dalla chirurgia plastica alla pubertà e l’inseminazione artificiale. Sullo sfondo c’è la città di Osaka, la terza del paese per ordine di grandezza, dove Kawakami è nata e cresciuta.
È a Osaka che Kawakami, figlia di un lavoratore di un negozio di alimentari, ha trovato il suo primo impiego a soli 14 anni in una fabbrica di condizionatori d’aria, prima di re-inventarsi come cantautrice e infine, alla soglia dei 30 anni, come scrittrice.
Chiunque abbia letto i romanzi di Murakami sa che in Giappone la realtà di una società iper-tradizionale e regolamentata si è scontrata già in passato con forme di contestazione giovanile. Ma qualcosa è cambiato, come dimostra proprio il confronto con Murakami, grande estimatore e sostenitore di Kawakami. I due hanno scritto insieme un libro-intervista nel 2017, ma Kawakami non ha mancato di criticare Murakami per la tendenza nei suoi romanzi a “sacrificare” i personaggi femminili a favore dei protagonisti maschili.
Non si tratta di una critica isolata e non è neppure un caso isolato il successo e l’ascesa di Kawakami. L’attuale generazione di giovani scrittori giapponesi vanta diverse scrittrici di successo come Sayaka Murata, Yukiko Motoya e Hiroko Oyamada (a questa lista potremmo aggiungere anche Mahoko Yoshimoto, più anziana di una quindicina di anni).
Ma la strada è ancora in salita per loro. Quando “Seni e uova” fu premiato nel 2008, Shintaro Ishihara, allora governatore di destra di Tokyo nonché componente della giuria descrisse il tono del romanzo come «egoista» e «spiacevole». Fu allora che Kawakami dichiarò ad Asahi Shimbun, uno dei più grandi giornali giapponesi, che le donne non dovrebbero usare la parola “shujin” – “padrone” – per riferirsi ai loro mariti.
Alle parole di Kawakami ha fatto eco, più recentemente la campagna del movimento #KuToo per abolire l’obbligo per le donne di indossare le scarpe con i tacchi sui luoghi di lavoro, un movimento nato spontaneamente nel 2019 dopo la denuncia di una donna.
Come ha dichiarato l’autrice in un’intervista al New York Times, il suo timore è che la pandemia di Coronavirus e le misure messe in campo dalla politica per gestire l’emergenza possano penalizzare ulteriormente le donne, in particolar modo le lavoratrici dell’industria del sesso. Diverse città in Giappone hanno chiesto la chiusura di locali notturni e bar associati all’industria del sesso per contenere la diffusione del virus, una mossa che andrebbe a colpire duramente le donne che ci lavorano, poiché molte di loro sono estranee alle loro famiglie e non hanno un posto dove andare.
Dal suo punto di vista la colpa è attribuibile ai legislatori maschi che «non sanno nulla di come le donne gestiscono l’assistenza all’infanzia o le faccende domestiche» e agendo in modo “miope” fanno ricadere sulle loro spalle gran parte del peso dalla chiusura delle scuole e il passaggio al lavoro da casa. Per la scrittrice non è altro che l’ennesima prova di come il Coronavirus stia «allargando il divario nella società», non solo tra ricchi e poveri, ma anche tra uomini e donne.
Foto di copertina: Twitter
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