Dl Rilancio, la combinazione tra ammortizzatori sociali e divieto di licenziamento: ecco il rischio di nuovi esodati
Il divieto di licenziamento scade il 17 agosto, ma gli ammortizzatori sociali finiranno molto prima: una sfasatura che può lasciare i lavoratori senza stipendio, senza cassa integrazione e senza NASPI. Il decreto Rilancio emanato per l’emergenza Coronavirus contiene una norma destinata a creare diversi problemi al sistema economico: la proroga sino al prossimo 17 agosto del divieto di avviare licenziamenti collettivi o licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo.
Sulla base di questa norma (inizialmente introdotta dal decreto Cura Italia limitatamente al periodo compreso tra il 23 febbraio e il 15 maggio) le aziende non possono avviare e concludere licenziamenti per motivi “economici”, mentre resta invariata la possibilità di procedere per motivi disciplinari e mancato superamento della prova.
Il divieto di licenziamenti va di pari passo con i nuovi ammortizzatori sociali introdotti dal Decreto Cura Italia (e potenziati dal DL Rilancio), che garantiscono una tutela ampia ed estesa a tutti i lavoratori, senza distinzioni di settore o azienda. Un disegno tutto sommato razionale: da una parte il legislatore vieta di licenziare, e dall’altra va incontro alle imprese sostenendole con gli ammortizzatori sociali.
Meno razionale sono, tuttavia, le regole concrete con cui si attua questo progetto: gli ammortizzatori Covid hanno una durata massima di 14 settimane (quindi, per le imprese che hanno iniziato a usarli, durano al massimo fino a giugno), cui si possono aggiungere altre 4 settimane tra settembre e ottobre, mentre il divieto di licenziamenti dura fino al 17 agosto.
Questa sfasatura potrebbe creare effetti perversi per i dipendenti di quelle aziende che hanno dovuto chiudere i battenti per via dell’emergenza e non possono riprendere l’attività a ritmo pieno per via delle limitazioni connesse alla ripresa. Quando queste aziende finiranno gli ammortizzatori sociali, non potranno gestire gli esuberi licenziando i lavoratori (almeno fino al 17 agosto), ma dovranno comunque lasciarli a casa, se non avranno nulla da fargli fare.
A questo punto per i lavoratori si aprirebbe uno scenario nefasto: non prenderebbero la NASPI (il trattamento di disoccupazione), almeno fino alla data del futuro licenziamento, ma non prenderebbero neanche lo stipendio (se la prestazione è impossibile, non è dovuta la retribuzione: si dovrà valutare caso per caso, e si prevedono grandi conflitti).
Certamente, le imprese potrebbero decidere di pagare lo stesso lo stipendio ai lavoratori lasciati a casa: sarebbe una scelta socialmente responsabile e auspicabile, ma solo alcune imprese saranno in grado di sostenerla. Un bomba pronta a esplodere che dovrà essere disinnescata nelle prossime settimane, prima che generi danni irreversibili.
Una soluzione potrebbe essere quella di riconoscere alle aziende che denunciano esuberi un periodo aggiuntivo di ammortizzatori in cambio dell’impegno a non licenziare: si metterebbe in piedi uno scambio virtuoso per tutte le parti in causa, con un meccanismo più efficiente di una norma che tutela i lavoratori molto meno di quanto possa sembrare.
Foto di copertina: Ante Hamersmit on Unsplash
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