Fase 2, Lopalco sulla corsa ai test sierologici a pagamento: «I furbacchioni hanno fiutato il business, ma non garantiscono su contagiosità e immunità»
Anche durante la conferenza stampa tenuta a Palazzo Chigi ieri sera, in cui Giuseppe Conte ha illustrato il piano del Governo per la “fase due” della Fase 2, è riemerso il tema delle tre “T” – tracciamento, trattamento e test – che da settimane è ragione di critica nei suoi confronti e nei confronti del suo esecutivo.
L’app Immuni dovrebbe entrare in fase di sperimentazione da settimana prossima e il premier ha annunciato nuovi test per circa 150mila persone, ma siamo ancora lontani da avere un quadro generale della diffusione del Coronavirus in Italia. Ma quanto è sensata l’enfasi sui test sierologici?
A rispondere a chi li invoca come garanzia di non-contagiosità o addirittura di immunità al virus ci ha pensato l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, che sulla sua pagina Facebook sottolinea: «Ora è il momento della sierologia. La spinta popolare a fare il test sierologico è forte e, ovviamente, i furbacchioni hanno fiutato odore di business a lunga distanza».
I limiti della “t” di “test”
Sui tamponi il discorso che fa Lopalco riguarda soprattutto il tipo di garanzie che possono dare (molte a breve termine e poche a lungo termine), facendo intuire che soltanto una strategia di tamponamenti continua potrebbe permettere una sorveglianza in tempo reale del coronavirus. Come sintetizza Lopalco, «un tampone negativo alle ore 8:00 non esclude essere positivo alle ore 8:01».
Rispetto ai testi sierologici invece l’epidemiologo sottolinea che, per quanto siano utili per mappare la diffusione del Coronavirus in Italia, la presenza degli anticorpi non è né garanzia di immunità – la risposta qui è forse: «Un livello alto di IgG (bisogna quindi fare un test che ne misuri il titolo) potrebbe correlare con la presenza di anticorpi neutralizzanti (protettivi), ma non è sicuro sia così e, certamente, dipende anche dalla qualità del test che viene fatto – né affranca l’individuo dalla necessità di praticare l’isolamento.
Per spiegarlo Lopalco utilizzo una grafico che indica il comportamento degli anticorpi, sia IgM che IgG, in caso di infezione da SARS-CoV-2. Sono due i punti cruciali: il primo è che esiste una finestra di tempo in cui sono presenti gli anticorpi in cui la persona è ancora positiva al Coronavirus. Insomma, la loro presenza non è garanzia di non-contagiosità.
In secondo luogo siccome «gli anticorpi iniziano ad essere identificabili a partire dalla fine della seconda settimana dopo l’inizio dei sintomi, quindi più o meno fine della terza settimana da quando abbiamo contratto l’infezione» comunque «per due-tre settimane ho potuto contagiare allegramente chi mi stava vicino. Non serve dunque a identificare i portatori. Per quello serve il tampone».
Insomma, la “t” di testi sierologici non può aiutarci più di tanto con l’altra “t” di tracciamento, per cui servono i tamponi o meglio, tenendo conto di quanto scrive Lopalco all’inizio del post, servirebbe un “tamponamento” regolare con intervalli molto brevi, il che pone dei chiari ostacoli materiali e logistici.
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