Le paure per il Coronavirus? Esagerate. Ecco lo studio che fa discutere, finanziato dal fondatore di una compagnia aerea
Sta facendo discutere lo studio dell’Università di Stanford, negli USA, secondo cui il tasso di mortalità da Coronavirus potrebbe essere molto più basso di quello ipotizzato precedentemente. Le percentuali vanno dallo 0,12% allo 0,2%, paragonabili di fatto ai numeri dell’influenza stagionale. Peccato che non si è trattato di una banale influenza e che contagi e decessi in tutto il mondo restituiscono un quadro più che allarmante.
Cosa dice lo studio – Il documento integrale
Lo studio, eseguito nella contea di Santa Clara in California, sulla base di 2.500 campioni di sangue nei quali sono stati ricercati e studiati gli anticorpi al virus, dice sostanzialmente che il numero dei contagiati sarebbe notevolmente più alto rispetto a quello accertato dai numeri ufficiali e che, di conseguenza, il tasso di mortalità sarebbe decisamente più basso.
Anche in Italia, in passato, l’Istituto superiore di sanità ha detto che i numeri del contagio sono stati probabilmente superiori anche di dieci volte a quelli registrati con le linee guida applicate. Nonostante ciò, vista la gravità dei sintomi di chi è stato curato o ricoverato, nessuno ha proposto di ridurre l’allarme o le misure di contenimento.
Il risultato della ricerca fatta da Stanford, diffuso dagli autori prima ancora della peer review o della pubblicazione su una rivista scientifica, ha fatto esultare i conservatori, sostenendo una teoria secondo cui le paure per il Coronavirus sarebbero esagerate. E così gli hashtag su riapriamo l’America, basta lockdown e torniamo al lavoro hanno invaso i social americani (#ReopenAmerica, #EndTheLockdown e #BackToWork).
Perché il fondatore di una compagnia aerea finanzia uno studio sul Coronavirus?
Quello che non convince, come denunciato da BuzzFeed News, è il forte interessamento a questo studio di David Neeleman, fondatore di quattro compagnie aeree commerciali, Morris Air, WestJet, JetBlue Airways e Azul Linhas Aéreas (e co-proprietario dell’ex compagnia di bandiera portoghese TAP Air Portugal e detentore del 32% della compagnia aerea francese Aigle Azur). Neeleman, dice la fonte di Buzzfeed, avrebbe contattato gli scienziati durante lo studio e avrebbe persino fatto una donazione di 5mila dollari. Come mai? A che titolo?
E sul the Daily Wire, Neeleman si è spinto oltre: «Sin dallo scoppio della pandemia, ho trascorso tutti i miei giorni e molte notti cercando di trovare una soluzione per salvare il maggior numero possibile dei 40mila posti di lavoro di cui sono responsabile, facendo il possibile per evitare una catastrofe economica. La mia ricerca di una soluzione mi ha portato a tre professori e scienziati straordinari della Stanford University School of Medicine con credenziali impeccabili. Li ho conosciuti personalmente». Loro sono John Ioannidis, Jay Bhattacharya e Eran Bendavid.
May 15, 2020
In prima linea contro il lockdown
David Neeleman – è doveroso sottolinearlo – si è sempre opposto ai blocchi imposti dal governo, anche sul traffico aereo, per contenere la pandemia. I numeri parlano chiaro: i ricavi da passeggeri delle compagnie aeree in tutto il mondo quest’anno diminuiranno di 314 miliardi di dollari. Ovvero un drammatico -55% rispetto al 2019, secondo le previsioni dell’Associazione internazionale delle compagnie aeree (Iata). E allora Neeleman ha finanziato la ricerca in maniera del tutto disinteressata oppure il suo obiettivo era dar credito alla sua battaglia alimentando, di fatto, i suoi interessi personali e, dunque, economici?
Nessuna pressione?
Dal canto suo, il patron di JetBlue Airways ha sempre negato che il suo interessamento possa aver influenzato i risultati dello studio. E sulla pagina in cui è stata pubblicata la ricerca si legge testualmente: «Dichiarazione di finanziamento. Riconosciamo molti donatori individuali che hanno generosamente sostenuto questo progetto. I finanziatori non avevano alcun ruolo né nella progettazione né nella conduzione dello studio né nella decisione di preparare e presentare il testo per la pubblicazione».
Gli altri dubbi
A far discutere è anche l’accuratezza dei test sugli anticorpi utilizzati nello studio. Il motivo è presto detto. La presenza di anticorpi, infatti, può aiutare a capire se una persona è stata infettata o meno. Molti dei test utilizzati, però, rischiano di generare “falsi positivi”, sostenendo ad esempio che qualcuno abbia sviluppato gli anticorpi che in realtà non ha. Per questo motivo due scienziati hanno deciso di ritirare le loro firme dalla ricerca in questione. Erano dubbiosi sull’effettiva coerenza dei risultati di questi test.
Lo studio, pubblicato per la prima volta il 17 aprile, non era stato sottoposto a revisione paritaria: dopo le critiche di alcuni scienziati, è stato rivisto il 30 aprile.
Foto in copertina di Daniel Irungu | Epa | Ansa
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