La ripartenza sul filo del rasoio: la Lombardia e la soglia nelle terapie intensive da non superare nella Fase 2 dell’emergenza Coronavirus
Manca poco. Nonostante il ritardo nella definizione delle norme da seguire, l’Italia sta per ripartire. Dal 18 maggio negozi, bar e ristoranti potranno alzare la saracinesca. Poi arriveranno le palestre e dal 15 giugno riapriranno anche cinema e teatri. Guardando il trend dei dati sembra che la fase più difficile della pandemia di Coronavirus sia passata. Archiviata con tutto quello che ha cambiato e con tutto quello che ha tolto.
Eppure il rischio c’è ancora. Come è ben chiaro. Ed è un rischio noto, quantificabile sui numeri. Un’impennata nella curva dei contagi potrebbe portare a nuove chiusure, come già successo in altre parti del mondo, dai focolai della Germania, ai bar di Seul, passando al ritorno al lockdown totale del Libano. Ma qual è la soglia? Il numero da cui iniziare a pensare alla temuta “seconda ondata”? Questa domanda pesa soprattutto sulla Lombardia, una regione che non è solo quella più colpita dal Coronavirus, ma anche quella con più abitanti di tutto il Paese.
Il parametro del 30% di posti occupati in terapia intensiva
La prima risposta è che non esiste un indicatore che da solo basti a segnare il ritono alla Fase 1. Esistono piuttosto una serie di alert, lampadine che si accendono su diversi indicatori e che insieme possono spingere regioni e governo a progettare nuovi lockdown. I parametri scelti sono contenuti in un decreto firmato dal ministro della Sanità Roberto Speranza il 30 aprile.
Si va dal numero di casi sintomatici notificati ogni mese alla percentuale di tamponi positivi, passando per il numero di nuovi focolai registrati a quello di accessi in Pronto soccorso con una classificazione riconducibile al Covid-19. Uno di quelli più chiari, e più importanti, è la percentuale di posti in terapia intensiva occupati da pazienti Covid-19. Una percentuale che non deve superare la soglia del 30% sul totale dei letti disponibili in questi reparti.
Il decreto del ministero della Salute
Questo sistema di alert serve a evitare «una minaccia sanitaria costituita dalla trasmissione non controllata e non gestibile di SARS-CoV-2». Bisogna però specificare una cosa. È difficile, considerato che la situazione è diversa in ogni regione, che si torni a un lockdown totale. Più facile, come successo in Germania, che la strategia sia quella di individuare i nuovi focolai per creare delle zone rosse prima che il virus ricominci a diffondersi.
Quanto è vicina la Lombardia alla soglia di allarme?
Prima dell’inizio dell’emergenza, in Lombardia c’erano circa 730 posti in terapia intensiva. Dopo i primi casi registrati, si è capito che questi reparti erano il vero problema della gestione sanitaria della crisi e così sono cominciate le operazioni per aumentarli. In poche settimane quel numero è passato da 730 a quasi 1.400, il doppio.
Interi reparti ospedalieri sono stati stravolti, le sale operatorie hanno cambiato destinazione ed è cominciata una ricerca dei respiratori e delle mascherine in tutto il mondo. A un certo punto nemmeno tutti quei nuovi posti sembravano bastare: il 3 aprile il numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva in tutta la Lombardia era arrivato a 1381. Poi le misure di contenimento del contagio hanno mostrato i loro risultati ed è cominciata la discesa che ha portato al dato del 16 maggio: 268 pazienti ricoverati in terapia intensiva, mai così pochi dall’inizio di marzo.
Come si legge nel grafico, quel 30%, che dovrebbe segnare il primo alert per la sospensione della Fase 2, corrisponde in Lombardia all’occupazione di 420 posti di terapia intensiva da parte di pazienti Covid-19. Una soglia sotto cui si è scesi l’8 maggio, quando questo indicatore è arrivato a 400. Al momento la percentuale di posti occupati da pazienti Covid-19 è poco meno del 20%: 19,14%.
La delibera della regione Lombardia
I prossimi giorni saranno decisivi. Si capirà davvero quali saranno gli effetti delle prime misure di allentamento del lockdwon e soprattutto si capirà se sarà possibile contenere il virus ricominciando a fare quasi la stessa vita di prima. L’attenzione resta alta, come si può leggere a pagina 6 della delibera firmata dalla Giunta regionale lombarda lo scorso 7 maggio, in cui si decide che nessun posto di terapia intensiva allestito per l’emergenza potrà essere smantellato fino a nuovo ordine:
«Si delibera che le strutture di ricovero e cura dovranno mantenere attive le aree temporanee già costituite per far fronte all’emergenza epidemiologica onde poter disporre, nel caso di nuovi picchi di contagio, di aree già attrezzate a farvi fronte».
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