Carceri piene e armi italiane: ecco l’Egitto di al-Sisi che approfitta del Coronavirus per imporre un altro giro di vite
Sono passati più di 100 giorni dall’incarcerazione di Patrick Zaki, lo studente dell’università di Bologna prelevato all’aeroporto del Cairo lo scorso 10 febbraio e rinchiuso in una delle prigioni della capitale egiziana. Cento giorni in cui gli appelli delle organizzazioni internazionali sono caduti nel vuoto. Nell’Egitto di al-Sisi è quasi impossibile ricevere una risposta.
Il 17 maggio un altro attacco alla libertà di informazione è arrivato con l’arresto, e poi scarcerazione su cauzione, di Lina Attalah, direttrice del giornale indipendente Mada Masr. L’accusa? Aver condotto inchieste delicate e aver criticato il governo per la gestione dell’emergenza Coronavirus.
In tutto il mondo, dal Brasile all’Ungheria, il diffondersi della pandemia ha offerto un’occasione ai governi autoritari per consolidare il loro controllo sulle strutture politiche e amministrative statali. Lo sa bene il presidente egiziano al-Sisi che il 6 maggio ha approvato una serie di emendamenti che conferiscono a lui e alle agenzia di sicurezza dello Stato pieni poteri aggiuntivi come la sospensione delle lezioni nelle scuole e nelle università e la messa in quarantena di chi torna dall’estero.
Nuovi poteri ad al-Sisi
Queste modifiche includono anche poteri allargati per vietare incontri pubblici e privati, proteste, celebrazioni e altre forme di riunione. Il governo ha definito le misure necessarie per combattere il vuoto legale portato dalla pandemia. Tuttavia, solo cinque dei 18 emendamenti sono chiaramente correlati alla salute pubblica e i nuovi poteri possono essere utilizzati ogni volta che viene dichiarato uno stato di emergenza, ha chiarito Human Rights Watch.
La legge garantisce alle forze armate il potere giudiziario su tutti i governatori, consegnando di fatto all’esercito le chiavi di un controllo sempre più stretto e severo sulla vita privata e pubblica dei cittadini. Ora l’apparato militare ha il diritto di arrestare e indagare i cittadini, poteri prima limitati alle forze di sicurezza e ai pubblici ministeri.
La crociata del “Faraone” contro giornalisti e attivisti
Arresti, imprigionamenti, sparizioni forzate sono stati inflitti a un numero sempre più crescente di dissidenti politici negli ultimi mesi. Il 15 maggio le forze di sicurezza hanno fatto irruzione nella casa di Haisam Hasan Mahgoub, giornalista di punta ad Al-Masry Al-Youm. Mahgoub è accusato di terrorismo, come confermato dall’avvocato Karim Abdelrady, che ha denunciato una «campagna brutale» contro i giornalisti nel Paese.
Come Patrick Zaki, il giornalista è stato accusato di sostenere gruppi terroristici nel Paese e di diffondere notizie che minacciano la sicurezza nazionale. Il 14 maggio anche il fotografo Moataz Abdel Wahab è stato arrestato con le stesse accuse. Mentre il 2 maggio scorso lo youtuber e regista di video satirici Shady Habash è morto nella stessa prigione di Patrick Zaki. Era stato arrestato nel 2018 dopo aver girato un video di Ramy Essam, uno dei simboli della rivoluzione di Pazza Tahrir.
Il caso della morte di Giulio Regeni, poi, è ancora aperto: a poco più di quattro anni dall’assassinio, la procura di Roma chiede – ormai da mesi – che il Cairo proceda ad indagare i cinque agenti del Nsa che nel nostro paese sono indagati per omicidio, sulla base degli elementi raccolti in Egitto. Sono state inviate già tre rogatorie e l’ultimo incontro tra le due procure è di gennaio scorso. Ma non ci sono passi avanti.
Il business italiano nella vendita di armi
Il sistema di sorveglianza ulteriormente rafforzato grazie alla pandemia, si tiene in piedi anche con l’espansione dell’apparato militare grazie all’import di materiale proveniente dai Paesi europei. Ed è proprio l’Italia ad aver approfittato della stretta del presidente Morsi, a partire dal colpo di Stato del 2013, sulle libertà individuali.
Secondo la relazione governativa annuale sull’export di armamenti presentata al parlamento pochi giorni fa, e ottenuta da Rete Disarmo, è l’Egitto il primo recipiente tra i Paesi non europei e fuori dalla Nato dell’export italiano di armi. Con il regime di al-Sisi, nel solo 2019, l’Italia ha chiuso affari per un valore di 871,7 milioni di euro in armamenti: dagli elicotteri ai carri armati.
Ma l’Egitto non è il solo Paese autoritario a cui l’Italia ha fornito armi. Subito dietro c’è il Turkmenistan, la Nazione del dittatore Gurbanguly Berdimuhamedow con cui il governo italiano nel 2019 ha firmato contratti per un valore di 446,1 milioni.
«Su Regeni, non possiamo riportare indietro Giulio ma possiamo far emergere la verità», ha dichiarato il 17 maggio il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ospite della trasmissione Che tempo che fa. Ma su questa verità pesa quasi un miliardo di esportazioni e armamenti e un business che per l’Italia, anche di fronte all’uccisione di un suo connazionale, sembra irrinunciabile.
Leggi anche:
- Egitto, Zaky resta in carcere. Sesto rinvio dell’udienza sulla custodia cautelare. Gli attivisti chiedono chiarimenti sulla legalità della detenzione
- Egitto, arrestata l’attivista 26enne per i diritti umani Sanaa Seif. È accusata di incitamento al terrorismo
- Egitto, morto l’ex presidente Hosni Mubarak. Aveva 91 anni
- Egitto, Di Maio chiarisce sulla vendita di navi da guerra italiane: «Ancora da autorizzare»
- Navi all’Egitto, Amnesty e Rete del Disarmo pronte a denunciare: «Il governo ci ripensi»
- Suicida l’attivista egiziana Sarah Hegazy. Era stata arrestata per una bandiera arcobaleno