Coronavirus, la cannabis potrebbe prevenire l’infezione? No, non è ancora stato dimostrato
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La cannabis potrebbe aiutare a prevenire l’infezione da Coronavirus? Non cantate vittoria e non andate a comprare della marijuana con la convinzione che vi protegga dall’infezione (bufala che era già circolata in alcuni Paesi come l’India). Occorre fare attenzione perché, come al solito, non abbiamo di fronte uno studio concreto che dimostri con certezza quanto è circolato nelle ultime ore. Anzi, si tratta di test di laboratorio che richiedono ulteriori analisi e ricerche approfondite.
La notizia circolata sui media
Secondo quanto diffuso dai media, alcune varietà di cannabis aiuterebbero a prevenire e a curare l’infezione da Coronavirus. Questa è la conclusione alla quale sarebbe giunto un team di ricercatori canadesi, sulla base di un test condotto su circa 800 diversi estratti di cannabis attiva. Stando alla ricerca, pubblicata sul sito Preprints.org (dove i ricercatori pubblicano in anteprima i loro lavori), il team avrebbe individuato delle specie di cannabis che si sarebbero rivelate particolarmente efficaci nel prevenire il Covid-19.
Lo scopo dei ricercatori dell’università di Lethbridge, ad Alberta – che hanno lavorato all’esperimento con le società Pathway Rx e Swysh Inc – è quello di riuscire a mettere a punto, in un futuro prossimo, dei composti e delle sostanze a base di cannabis che possano aiutare allo scopo. Gli estratti di cannabidiolo, principale componente non psicoattivo della marijuana, «potrebbero contribuire a ridurre del 70% il numero di recettori cellulari usati dal Coronavirus per entrare nell’organismo», ha spiegato Igor Kovalchuk, Ceo di Pathway Rx.
Non si tratta di una cura
Non è possibile affermare che lo studio – che deve ancora essere passato dalla peer review e dunque essere pubblicato su una rivista scientifica – confermi l’esistenza di una cura contro il Covid-19 attraverso la cannabis. L’intento dei ricercatori – a seguito di ulteriori indagini – sarebbe quello di proporre una pratica che possa essere d’aiuto nelle terapie contro il Covid-19. Ecco cosa riporta la conclusione dello studio:
Based on our preliminary data, extracts of novel efficacious C. sativa lines, pending further investigations, may become a useful addition to the treatment of COVID-19, and an excellent GRAS adjunct therapy.
Inoltre, si parla di una ricerca per un eventuale uso di un collutorio che – con speranza – possa «bloccare con dei gargarismi» l’ingresso del virus nella mucosa orale:
They can be used to develop easy-to-use preventative treatments in the form of mouthwash and throat gargle products for both clinical and at-home use. Such products ought to be tested for their potential to decrease viral entry via the oral mucosa. Given the current dire and rapidly evolving epidemiological situation, every possible therapeutic opportunity and avenue must be considered.
Il dubbio
Oltre allo strano pensiero di un «collutorio miracoloso», si tratta di un esperimento fatto su modelli 3D di tessuto umano artificiale, che essendo colture non sono rappresentative quanto uno studio su cavie:
Tissue models: EpiAirway, EpiOral, EpiIntestinal tissues were purchased from Mattek Life Sciences (Ashland, MA), equilibrated and cultured according to manufacturer’s instructions. Two tissues were used per extract.
Secondo i ricercatori, attraverso un principio attivo della cannabis, i recettori ACE2 delle cellule si sarebbero ridotti e dunque – sempre secondo la teoria – ciò diminuirebbe la possibilità di infettarsi con il Sars-cov2. Esiste un problema e ne avevamo parlato in un precedente articolo:
Precisiamo fin da subito, che una maggiore espressione degli ACE2 non implica con certezza maggiori rischi. Esistono anche ipotesi opposte, visto che questi recettori potrebbero trovarsi in maggior numero nei bambini, calando con l’avanzare dell’età. Sappiamo però che proprio i bimbi sono i soggetti meno a rischio rispetto ai più anziani.
Conclusioni
Non si tratta di uno studio passato alla peer review, è stato condotto su tessuti artificiali e non su organismi reali. Si tratta di una classica ricerca preliminare che potrebbe finire nel vuoto. Gli stessi autori parlano della necessità di ulteriori studi e ricerche per proporre qualcosa di un po’ più concreto, materiale che al momento non c’è.
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