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Coronavirus, le donne del Politecnico di Torino dietro la fase 2: un esempio per la ricerca italiana

22 Maggio 2020 - 06:52 Juanne Pili
Così un progetto destinato a stilare linee guida per l'emergenza sanitaria è riuscito a rompere le barriere di genere

Il nuovo Coronavirus sta avendo un impatto notevole sulle vite di tutti, con conseguenze sull’ambito sociale e lavorativo che difficilmente potrebbero definirsi positive. Ma qualche buona cosa l’emergenza sanitaria sembra avercela portata – come solo nei momenti di grande necessità accade – focalizzando l’attenzione dell’opinione pubblica verso gli scienziati, molto più di quanto non abbia saputo fare Greta Thunberg con il cambiamento climatico.

Al Politecnico di Torino si lavora alla Fase 2. Occorrono linee guida per legislatori e addetti ai lavori nei vari ambiti della società, nella scuola, in fabbrica e nello sport. Il rettore Giudo Saracco ha deciso che il suo istituto avrebbe dovuto contribuire ad affrontare l’emergenza sanitaria, coinvolgendo scienziati e ingegneri nella stesura delle linee guida da seguire, per un graduale ritorno alla normalità in sicurezza.

Non chiamatele «Quote rosa»

Nasce così il progetto Imprese aperte, declinato poi con altri gruppi: Sport aperti; Scuole aperte; Sanità aperta. Si tratta di una iniziativa no-profit, gestita da una task force composta da membri provenienti dal mondo STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics).

Il team del Politecnico di Torino è prevalentemente composto e diretto da donne, senza che fosse necessario chiamare in causa le «quote rosa»: un concetto con connotazioni sia positive che negative, come spiega a Open l’ideatrice dell’hashtag che promuove l’iniziativa «#ognunoproteggetutti» Alice Ravizza, un punto di riferimento per le ingegnere del Politecnico, esperta nel campo della produzione di mascherine e altre forme di profilassi.

Lavorano per la gestione del ritorno negli ambienti lavorativi, scolastici e sportivi. Il loro documento Imprese Aperte – Lavoratori protetti, i cui metodi di ricerca sono stati resi pubblici, è divenuto un modello per il Dpcm per l’emergenza Covid-19.

Il progetto «PoliTo for impact»

La loro check list di auto-valutazione del rischio aziendale è stata presa come punto di riferimento dall’Inail, mentre il loro documento sullo sport è presto diventato il testo di riferimento di un apposito Decreto legge. L’analogo documento Scuole è in studio anche da parte del ministero dell’Istruzione. Il team lavora soprattutto sull’impatto sociale, secondo la formula dell’ «ognuno protegge tutti», un approccio etico e sociale per la gestione condivisa della responsabilità, senza controlli o colpevolizzazioni.

Questa visione, che rientra nel progetto PoliTo for impact, ha conquistato anche la fiducia dell’epidemiologo di riferimento del progetto, il professor Pier Luigi Lopalco. Un piano di ritorno alla normalità, tramite la condivisione e la responsabilizzazione, evitando formule che prevedessero il controllo centralizzato dello Stato – che di certo ne ha beneficiato – usando il lavoro del team come punto di riferimento per leggi e decreti.

Un esempio per tutte le aspiranti scienziate e ingegnere

Il cuore della task force sono circa 50 persone del Politecnico (oltre la metà donne), più altre 50 di varie università (60% donne). Tenendo conto che in Italia le ingegnere sono circa il 30% rispetto ai colleghi, si tratta di un risultato straordinario – casualmente raggiunto – seguendo criteri di merito, come spiega la stessa Ravizza: «A parità di competenze in occasione dell’emergenza, sono tante le donne che si sono messe in gioco, gratuitamente».

Merito dell’ambiente del Politecnico più aperto alla diversità? «In generale l’ambito ingegneristico permette di andare avanti se si hanno buone capacità operative e tecniche  – continua l’esperta – dunque è più facile che i meriti personali vengano riconosciuti al di là del sesso di appartenenza, anche se alcuni preconcetti sono duri a morire». «Nel mio caso – spiega Ravizza – al Politecnico ho in generale trovato grande apertura alle nuove idee, con pochi casi sporadici di chiusura, quando sono stata vista come giovane e troppo esuberante e di conseguenza trattata come una ragazzina e non come una collega».

L’ingegneria – come molte professioni tecniche e scientifiche – tende maggiormente a premiare sulla base dei risultati concreti. «Nella fascia dei 40 e 60 anni le donne in questi ambito sono tante, competenti e agguerrite», continua l’ingegnera. Rimane sempre quell’ultimo ostacolo che è l’accesso alla dirigenza. Al Politecnico di Torino le cose vanno un po’ meglio da questo punto di vista. «Il Rettore è maschio, ma i vicerettori sono per metà donne – conferma Ravizza -. Il problema, dal punto di vista della parità di genere, continuerà a esserci – anche dopo questa emergenza – perché sono poche le donne ingegnere, o meglio, poche donne si iscrivono a corsi di studio in questo ambito».

Se la misoginia entra in Accademia

Inoltre, anche tra le accademiche, si registrano spesso casi in cui la misoginia rallenta la carriera delle più meritevoli. Ad esempio, in attività ancora troppo spesso considerate “maschili”. Un altro membro del progetto, la professoressa associata presso il Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia Ada Ferri, spiega a Open com’è la situazione in ambito sportivo.

«Io ho coordinato il gruppo che ha lavorato al documento Lo sport riparte in sicurezza – spiega -. Quello dello sport è un mondo molto maschile, con poche donne nei consigli federali e nessuna alla guida di una delle oltre 40 federazioni nazionali». «Anche in questo il Politecnico di Torino ha ribaltato le statistiche – continua Ferri – con una composizione bilanciata del gruppo di lavoro, che ha prodotto un documento il quale ha contribuito a definire le linee guida per gli allenamenti degli sport individuali e di squadra, emanate recentemente dal Ministro dello Sport. Una bella soddisfazione».

L’esperienza del Politecnico di Torino potrebbe essere quindi d’esempio per tante altre ragazze che aspirano a trovare spazio nel mondo della scienza e della tecnica, da protagoniste. «La comunicazione che si vuol fare è proprio questa – spiega Ravizza – cioè dire: “ragazze, vedete che ce la potete fare? Guardate noi”. Siamo persone normali che svolgono professioni tecniche, con delle vite gratificanti». «Le ragazze – conclude – possono dare tanto all’ ingegneria in termini di grinta, capacità di innovazione, progettualità e possono anche ricevere in cambio molto, in termini di soddisfazioni professionali e bilancio vita-lavoro».

Foto di copertina: PoliTo | Vademecum Fase 2.

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