Coronavirus, la movida degli adolescenti a Torino: «Meglio correre un rischio che morire di depressione»
«Liberi tutti, vogliamo vivere». È questo lo slogan con cui gli adolescenti torinesi stanno affrontando la prima sera di riapertura di ristoranti e cocktail bar della città. Raccolti in gruppo sulle panchine dei giardinetti più alla moda del centro storico o seduti sui gradini delle piazze, molti sembrano aver dimenticato l’assordante rumore delle ambulanze che, da quasi tre mesi, scorrazzano tra le vie della città scortando i malati di Coronavirus.
«Non ho neanche diciotto anni e non ce la faccio più a stare a casa», racconta Lisa mentre fuma una sigaretta elettronica su una panchina di piazzetta Maria Teresa. Accanto a lei, l’amica Silvia che, imbarazzata, per parlare tira su la mascherina in cotone, fino a qualche istante prima legata attorno al collo. «Il nonno di una mia amica è morto di Coronavirus, ma era anziano – spiega –. Per noi non può essere rischioso stare vicini, veniamo da un periodo lunghissimo reclusi, siamo sani».
Di diverso avviso l’amico Dante che, per intervenire, alza il foulard quasi fin sugli occhi. «Sono uno studente del liceo classico Gioberti – spiega –. So che stiamo correndo un rischio ma non voglio fare la fine di un mio caro amico che, dopo due mesi di quarantena, per la depressione qualche giorno fa si è suicidato buttandosi dall’ottavo piano».
I locali
Qualche goccia di pioggia rallenta la prima affluenza nei dehor, ma non ferma le comitive pronte a far festa e pazienza se le distanze di sicurezza non vengono rispettate alla perfezione.
Lo sforzo dei gestori dei locali invece è notevole. Metro alla mano e sorriso tirato per la tensione, hanno riposizionato tutti i loro tavoli per garantire l’uso degli spazi come da prescrizioni di decreti governativi e ordinanze. Ma sono tanti i ragazzi che al tavolo del bar non intendono sedersi. «Un cocktail costa troppo, preferisco una birra dal “bangla”», urla uno degli skaters seduto sugli scaloni della Camera di Commercio, in piazzale Valdo Fusi.
«L’ordinanza dice che dovrebbero essere chiusi dalle sette solo quelli qui in centro. Ma in cinque minuti – continua – sono alla prima serranda alzata fino a tarda notte, come ho fatto ieri sera». Sono le otto, e nei quartieri della movida, per tutto questo weekend (e il prossimo) è vietato vendere alcolici da asporto dopo le diciannove. Eppure di persone in giro con una birra in mano se ne vedono parecchie.
Al tavolino di un bar di San Salvario (quartiere dove si tira tardi per eccellenza), c’è una coppia che sorseggia uno spritz mentre chiacchiera con i signori seduti al tavolo accanto, distante almeno un paio di metri. Sono adulti, sulla cinquantina. «Abbiamo due figli di vent’anni e stasera sono in giro con gli amici, così abbiamo voluto fare un giro anche noi e vedere l’aria che tira». E anche se «sembra tutto sotto controllo – aggiunge il marito -, non si capisce più cosa sia giusto e cosa pericoloso».
Sono passate da poco le nove, non piove più. Centinai di tavolini occupano gli spazi della piazza più grande della città, piazza Vittorio Veneto. Sono tutti pieni; le persone sembrano rilassate. Pare non si accorgano nemmeno delle pattuglie delle forze dell’ordine parcheggiate dall’altro lato della strada e ferme in sosta per presidiare il territorio.
La stessa cosa accade in piazza Santa Giulia, in Vanchiglia, altra zona cult della movida ai piedi della Mole. Lì il controllo è a cura di polizia e guardia di finanza. I tavoli sono pieni, ma le distanze garantite. Un centinaio di metri più avanti un’ambulanza ha appena spento le sirena e ha parcheggiato per un intervento. Un isolato più a nord, una decina di ragazzi bevono e chiacchierano. Sono seduti sul gradino di un marciapiede. Quando l’ambulanza riparte, sembra non si siano accorti della sua presenza.
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