Ecco perché siamo orgogliosi di non aver dato la notizia di Silvia Romano che esce di casa per andare dall’estetista
Sono le 15.04 di ieri, 25 maggio, quando l’Ansa batte la notizia di Silvia Romano che esce di casa, dopo 14 giorni di quarantena, per andare in un centro estetico. Una notizia ripresa dalla maggior parte dei giornali italiani di cui, però, noi abbiamo fatto a meno. Non ne abbiamo dato notizia. Volutamente e con orgoglio. Perché non ci siamo chiesti quante volte siano andati nel barbiere gli altri italiani rapiti e poi rientrati nel nostro Paese?
«Velo beige a coprire la testa e le spalle»
La verità è solo una. Ed è amara, amarissima. Silvia Romano è stata presa di mira in quanto donna, in quanto italiana che porta un velo. «Con un velo beige a coprire la testa e le spalle e una mascherina bordeaux», leggiamo sul resoconto della giornata di ieri. Quando è scesa dall’aereo che l’ha riportata nel nostro Paese, ad esempio, non l’abbiamo guardata dritta negli occhi. Abbiamo giudicato l’abito che indossava. Non ci siamo concentrati sul suo sorriso, sull’abbraccio di una madre con la figlia proprio nel giorno della festa della mamma. No, ci siamo concentrati sull’entità del riscatto come se la vita avesse un prezzo. Un valore. La vita di Silvia non ha prezzo.
I titoli vergognosi dei giornali
Abbiamo insinuato che fosse incinta, che in fondo tra il Kenya e la Somalia si fosse anche divertita. Che se l’è cercata. L’abbiamo giudicata per il suo nuovo nome, Aisha. Qualche giornale ha anche scritto «abbiamo liberato un’islamica» o «islamica e felice, Silvia l’ingrata». Per il deputato della Lega Alessandro Pagano – e forse questo è il punto più basso della storia – Silvia Romano è una «neo-terrorista». Convertirsi all’Islam, chiariamoci, non significa essere jihadista e la libertà di culto è garantita dalla nostra Costituzione.
Quei titoli, vergognosi, di Libero e Il Giornale, hanno allontanato sempre di più Silvia e la sua famiglia dai media italiani. Si sono dovuti costruire una corazza. Ed è anche per questo che la madre di Silvia, Francesca, proprio ieri ha avuto uno screzio con un fotografo che l’attendeva fuori di casa. È stanca anche lei della pressione mediatica, il padre è sconvolto dall’odio generato da certi giornali. Ce l’ha detto chiaramente, parlando al telefono con Open: «La stanno massacrando».
«Non me la sento, non sono e non siamo ancora pronti»
E poi c’è Silvia, giudicata per il suo credo religioso, che continua a chiedere un po’ di «rispetto». La curiosità di sapere come è andata, cosa è successo, è legittima ma l’assedio, adesso, no. Noi di Open il giorno del suo arrivo in Italia l’abbiamo attesa davanti alla sua abitazione, felici del suo rientro in Italia. Non le abbiamo posto domande nella ressa. Lo abbiamo fatto, con discrezione, in un secondo momento. E Silvia, sì, che in quel caso ci ha risposto, non avendo niente da nascondere: «Non me la sento, non sono e non siamo ancora pronti» ci ha scritto, con grande tranquillità.
L’incubo di Silvia
Pensate che stare da soli, tra Kenya e Somalia, circondati da uomini armati, che parlano una lingua che nemmeno capisci e che potrebbero ucciderti da un momento all’altro, sia stata la vacanza che tutti non aspettavano altro di fare? No, è stato un incubo da cui Silvia, forse, non si è ancora svegliata.
Foto in copertina di Ansa
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