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Dalla prima linea alle piazze: gli «angeli» contro il Coronavirus e la vita da precari di specializzandi e “camici grigi”

Contratti a termine, bassi salari, turni di lavoro da 12 ore e bonus negati. Dopo la luna di miele (a senso unico) tra sanitari e governo, i "camici grigi" e gli specializzandi protestano contro le condizioni di lavoro

«Manodopera precaria». Nicola Pelusi, un giovane medico a partita iva, definisce così quell’esercito di sanitari senza tutele e senza certezze che è stato in trincea fin dai primi giorni dell’epidemia da Coronavirus. Non eroi, non angeli. «Ce lo hanno detto chiaro e tondo», dice parlando della condizione lavorativa instabile in cui si trova insieme a migliaia di colleghi. «Ci hanno detto: “Non possiamo eliminare l’imbuto formativo, perché altrimenti senza i precari chi si occuperebbe della medicina del territorio?”».

Nicola ha 26 anni, lavora come guardia medica. Il suo contratto viene rimesso a bando ogni due o tre mesi, ma lui ha bisogno di mantenersi mentre aspetta di accedere al corso di specializzazione. Nei mesi dell’emergenza ha lavorato tra le province di Como e Sondrio – rispettivamente 3.792 e 1.431 casi di Covid-19– in qualità di medico della Continuità assistenziale. È uno dei numerosi “camici grigi”, cioè medici bloccati dall’assenza di bandi per la specializzazione, su cui l’intero Sistema sanitario ha fatto affidamento per contenere l’epidemia da Coronavirus.

Che precarietà e sanità andassero a braccetto nonostante il Covid-19 lo si era capito già dal 2 febbraio, quando il team di ricercatrici dello Spallanzani aveva isolato il Sars-Cov-2. Tra le ricercatrici c’era Francesca Colavita, 31enne con contratto a tempo determinato a 1.500 euro al mese. Oggi 29 maggio, a distanza di oltre tre mesi dall’esplosione della pandemia in Italia, gli specializzandi, i neolaureati e i “camici grigi” protestano in 21 piazze italiane per contestare le loro condizioni di lavoro.

ANSA/ANGELO CARCONI | Specializzandi e neolaureati in protesta a Roma, 27 maggio 2020

I “Camici grigi” dell’assistenza a domicilio

Gran parte dei medici abilitati in attesa dei bandi per la specializzazione esercita come guardia medica: una figura cruciale nelle settimane di emergenza, ma che non sempre è stata tutelata. «Nel periodo tra febbraio e marzo l’unica indicazione che ci hanno dato è stata: usate la mascherina solo se la persona è arrivata dalla Cina», racconta Nicola. «Noi avevamo solo due Ffp2 per 4 o 5 colleghi. Non so nemmeno io quante persone ho visitato senza indossarla». Ora la situazione dei dpi è migliorata, ma Nicola è sicuro che le mancanze iniziali (e strutturali) abbiano contribuito all’esplosione incontrollata nei contagi.

La medicina sul territorio, indebolita dalle politiche regionali, si è trovata impreparata a dover gestire la diffusione dei contagi. Nelle prime settimane di epidemia, mentre nei pronto soccorso si affollavano i malati di Covid-19 (o sospetti tali), le guardie mediche della Continuità assistenziale (Ca) hanno continuato con la medicina a domicilio. Le Usca, le Unità Speciali per l’assistenza ai pazienti Covid, sono state attivate in Lombardia solo a metà marzo (in una misura che, ancora a metà aprile, risultava insufficiente) e fino a quel momento l’unica assistenza alternativa all’ospedale è stata rappresentata da loro.

“Loro” chi? Sono tre le categorie che confluiscono nelle Ca: ci sono i “camici grigi”, appunto – cioè chi è abilitato ma non sta facendo un percorso di formazione specialistico o generale; ci sono gli specializzandi che cercano di arrotondare il loro stipendio facendo un secondo lavoro, ma che hanno diverse limitazioni a livello di gestione dei turni (la”seconda attività” non deve interferire con la loro formazione); e poi ci sono i corsisti di medicina generale, anche loro con forti limitazioni a livello di presenze.

ANSA/FILIPPO VENEZIA | Una dottoressa dell’Usca, Unità speciali di guardia medica Covid

Un esercito di precari e, di fatto, medici in formazione ai quali non è riconosciuta l’attività usurante, né è stata fornita una completa educazione e sui quali ha poggiato l’intero fragile sistema sanitario. Ma è un equilibrio che è destinato a finire.

Gli specializzandi negli ospedali

«L’emergenza ha solo scoperchiato il vaso di pandora mostrando a tutti la fragilità di questo equilibrio», dice Alessandra Iorfida, camice grigio di Pisa non ancora specializzanda. Da quando è scoppiata la quarantena si è spostata a Trento per poter dare una mano alla sua famiglia, ma non ha smesso di essere attiva per difendere i colleghi e le colleghe che lavorano negli ospedali e a domicilio. Quello degli specializzandi è, insieme ai precari delle Continuità assisteniziale, il grande problema della sanità: lavoro a rischio, poche tutele, bassi salari. E un posizionamento ibrido nelle strutture sanitarie che permette di ammortizzare le spese – sacrificando tutto il resto.

«In teoria questo non è uno sciopero, perché gli specializzandi non ne hanno diritto», spiega Alessandra. Gli specializzandi sono delle creature di mezzo: non sono dipendenti delle Ast, ma non sono nemmeno studenti delle Università. Sono lavoratori a tutti gli effetti che in questo periodo di emergenza Coronavirus, per sopperire alla mancanza di personale, hanno tenuto a galla i reparti (specialmente lombardi) che altrimenti avrebbero dovuto fare i conti con la carenza di medici in corsia.

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Nonostante questo, il loro contratto è rimasto lo stesso: un contratto di formazione da 1.500 euro mensili (derivanti dalle borse di studio) e nessun congedo. Alessandra racconta di colleghi e colleghe di tutta Italia che sono entrate in contatto con pazienti Covid-19 in corsia e che hanno dovuto utilizzare i propri giorni di ferie per mettersi in isolamento. Il loro contratto non prevede permessi, così come non prevede i bonus che tutti gli altri sanitari hanno ricevuto.

Oggi la situazione Coronavirus in Italia inizia a migliorare, anche se in alcune zone del Paese desta ancora preoccupazione. La guerra al virus non è finita e i medici e sanitari continuano a combatterla nonostante tutto. «Questa logica della manodopera precaria non è efficace né per i pazienti né per il sistema in sé» dice Nicola. «Ora nessuno mollerà, ma anche le nostre energie sono a tempo determinato: siamo tutta gente che appena potrà se ne andrà via».

In copertina: ANSA/ANGELO CARCONI | Specializzandi e neolaureati in protesta a Roma, 27 maggio 2020

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