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Cosa dice la Sezione 230, la legge che tutela i social network (che Trump vuole eliminare)

31 Maggio 2020 - 07:32 Valerio Berra
«REVOKE 230!» scrive il Presidente degli Stati Uniti su Twitter. Eppure questa norma ha permesso anche a lui di costruire il suo seguito sui social

Aprile 2018. Nel pieno dello scandalo Cambridge Analytica, Mark Zuckerberg è davanti al Congresso degli Stati Uniti. Greg Walden, deputato repubblicano dell’Oregon, chiede al ceo di Facebook se la sua azienda è una media company, se cioè il suo business principale riguarda i contenuti. La risposta di Zuck è chiara: «Io ci considero una compagnia tecnologica. La nostra attività principale è avere ingegneri che scrivono codice e costruiscono prodotti per altre persone».

Oltre due anni dopo questo incontro, Donald Trump ha lanciato un tweet che riporta a galla proprio questo tema: «REVOKE 230!». Negli ultimi giorni Twitter ha etichettato un tweet di Trump invitando gli utenti a informarsi meglio sul tema di cui parlava (il voto via posta) e poi ne ha oscurato un altro per incitamento alla violenza. E così si è tornati a parlare della Sezione 230, una vecchia legge statunitense che mette al riparo i social network dai contenuti pubblicati dai loro utenti. Un meccanismo può funzionare proprio perché i social non sono considerati «media company».

Cos’è la Sezione 230

Nel 1996 il logo di Apple era ancora una mela dipinta con l’arcobaleno. Larry Page e Sergey Brin non avevano ancora lanciato Google e uno dei telefoni più venduti era il Nokia 8110, meglio noto come banana phone. Era la preistoria dell’era digitale e il Congresso degli Stati Uniti approvò all’interno del Communications Decency Act la Sezione 230, definita dal professore di sicurezza informatica Jeff Kosseff «Le 26 parole che hanno creato internet».

Il testo della Sezione 230 infatti è questo: «Nessun fornitore e nessun utilizzatore di servizi Internet può essere considerato responsabile, come editore o autore, di una qualsiasi informazione fornita da terzi». Ok, in italiano sono 23 parole ma la sostanza non cambia: questa frase solleva i social network dalla responsabilità dei contenuti che vengono pubblicati sulle loro piattaforme.

Violenza e diffamazione, come i social si sono ripuliti

Negli ultimi anni però molti social queste responsabilità hanno cominciato a prendersele. Tra fake news, pornografia e incitamento all’odio il rischio per le piattaforme stava diventando quello di perdere credibilità. Basta pensare al massacro di Christchurch, trasmesso in diretta social o alle polemiche sul ruolo delle fake news nelle elezioni americane del 2016.

E così la moderazione dei contenuti è diventata una parte fondamentale nelle attività dei social network. Sono nati team di fact chekers, strumenti di segnalazione sempre più completi fino ad arrivare anche a dei paradossi, come la scelta di Facebook di oscurare i profili di Casapound in Italia, una scelta poi contestata dal Tribunale civile di Roma.

EPA/KIM CHUL-SOO | Il cofondatore di Twitter Jack Dorsey

Anche questo ha a che fare con la Sezione 230: secondo questa legge esattamente come i social non erano responsabili dei contenuti pubblicati dai loro utenti, nessuno poteva citarli in giudizio per la rimozione, l’oscuramento o la segnalazione di un post. Sempre che non rispettassero le famigerate “norme della community”.

Con l’ordine esecutivo firmato da Trump il 28 maggio l’obiettivo è proprio quello di mettere in discussione questa parte. I social network potrebbero infatti diventare legalmente responsabili dei contenuti pubblicati e quindi sulle scelte fatte per mediare questi contenuti. E questo potrebbe avere ricadute molto complesse sul loro futuro.

Cosa cambia con la firma dell’ordine esecutivo

Nonostante la formula “ordine esecutivo” possa far sembrare il documento firmato da Trump come immediato e prioritario, nella realtà della politica non sarà così. Gli ordini esecutivi infatti hanno come obiettivo quello di mostrare le priorità della presidenza. Non possono cambiare subito una legge. Per farlo occorre prima passare da diversi step fra cui la Federal Communications Commission (Fcc), un organo federale che si occupa delle leggi sulle telecomunicazioni.

The Telegraph | Donald Trump spiega l’ordine esecutivo che ha firmato sulla Sezione 230

Al di là di questo, esiste un’altra contraddizione di fondo su questa Sezione 230, messa in luce da Peter Baker e Daisuke Wakabayashi del New York Times. Secondo l’analisi dei due giornalisti, l’obiettivo del Presidente è quello impedire a Twitter o qualsiasi altro social di oscurare i suoi commenti. Togliendo però la Sezione 230, i social diventerebbero responsabili di tutti i contenuti pubblicati.

Questo non vuol dire solo che potranno essere citati in causa per aver eliminato un contenuto ma potrebbero anche oscurare ancora più velocemente i contenuti pubblicati dagli utenti che potrebbero metterli nella condizione di prendere una denuncia. Un meccanismo che secondo i due giornalisti del New York Times potrebbe ledere una persona che non solo fa largo uso dei social ma possiede anche uno dei profili Twitter più seguiti al mondo. Esatto, proprio Donald Trump.

Foto di copertina: Sfondo foto creata da freepik – it.freepik.com

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