Minneapolis, parlano i manifestanti: «Stop alle proteste solo a due condizioni» – L’intervista
Guardando le immagini delle proteste di Minneapolis di questi giorni – i palazzi bruciati, le vetrine rotte, la devastazione in strada – si corre il rischio di dimenticare che tra i manifestanti ci sono anche uomini e donne come Eric Daigre, che dal 25 maggio chiede giustizia – in strada e online – per l’assassinio di George Floyd, ucciso da un poliziotto bianco in diretta video.
Daigre è un amatissimo docente dell’Università del Minnesota, e membro del consiglio di Communities United Against Police Brutality (Cuapb), un’organizzazione di volontari nata a Minneapolis agli inizi degli anni Duemila per «documentare e combattere «la brutalità delle forze dell’ordine». Dalla sede centrale di Cuapb – diventata in questi giorni un punto di incontro per i manifestanti – risponde alle domande di Open nella giornata di sabato.
Come è la situazione a Minneapolis?
«C’è tantissima energia in città, vedere tutte queste persone in strada che chiedono giustizia per George Floyd ci dà davvero molta carica e ispirazione. Tuttavia la situazione è confusa: ci sono manifestazioni organizzate, marce, raduni pacifici, ma anche saccheggi e razzie. Molti palazzi stanno bruciando, compresa una terza stazione della polizia. La Guardia Nazionale è arrivata e si è unita alla polizia locale in tenuta antisommossa. Come è già successo venerdì, anche oggi (sabato 29 maggio ndr) c’è il coprifuoco alle 20, e questo non impedirà a molti di continuare a protestare. Manifestazioni di solidarietà stanno arrivando da tante città del Minnesota, come St. Paul, che è un altro focolaio di brutalità delle forze dell’ordine, e da tante città in giro per gli Stati Uniti».
Chi protesta?
«Persone molto diverse tra loro. Sebbene Minneapolis sia una città caratterizzata da una forte segregazione razziale, nel 2017 Justine Damond, una donna australiana, è stata uccisa dal Minneapolis Police Department in un quartiere borghese a prevalenza bianca. L’episodio è servito a svegliare l’attenzione di tanti bianchi convinti che la brutalità della polizia non li riguardasse. Siccome il poliziotto responsabile dell’omicidio della donna era una somalo-americano che è stato condannato in direttissima, in queste ore molti si chiedono se anche Derek Chauvin – il poliziotto bianco che si è inginocchiato sul collo di George Floyd uccidendolo – verrà dichiarato colpevole di omicidio con la stessa solerzia. In questo momento è in arresto: è il primo poliziotto bianco di Minneapolis a essere accusato di omicidio».
Qual è la sua opinione sull’operato delle autorità cittadine? Il sindaco e il capo della polizia hanno usato parole di condanna verso la polizia e di empatia verso i manifestanti
«La nostra organizzazione è stata molto critica con il sindaco e con il consiglio comunale attuale, così come con quelli precedenti, per l’incapacità di mettere la polizia di Minneapolis davanti alle proprie responsabilità. Tutti i meccanismi di controllo e tutte le strade per riconoscere torti e responsabilità delle forze dell’ordine finora si sono rivelate un completo fallimento. Giusto per fare qualche esempio: nell’ottobre del 2012 il consiglio ha smantellato la Civilian Review Authority, un organo che vigilava sulla condotta della polizia, per sostituirla con l’Office of Police Conduct Review (OPCR). Con tutti i suoi difetti, la prima dava seguito al 7-8% delle segnalazioni dei cittadini contro la polizia, mentre la nuova autorità ha abbassato la percentuale allo 0.36% negli anni dal 2012 al 2017.
Questo fallimento istituzionale nel disciplinare i poliziotti ha avuto conseguenze reali: l’ufficiale che ha ucciso Terrance Franklin nel 2013 aveva avuto 19 segnalazioni prima dell’omicidio, mai un richiamo o una sanzione. Quelli che hanno assassinato Jamar Clark nel 2015 ne avevano ricevuti tre: ancora una volta, senza alcuna conseguenza. Gli agenti della pattuglia responsabile dell’omicidio di Justine Damond nel 2017 erano stati segnalati 6 volte e, anche in questo caso, alcun provvedimento era stato preso sul loro conto.
Oggi sappiamo che quelli che hanno ucciso George Floyd – Chauvin e Tou Thao – avevano ricevuto numerose lamentele e segnalazioni per la condotta aggressiva: Chauvin 7 dal 2012, senza alcuna conseguenza, e Thao 5, di cui una è ancora aperta. Terrance Franklin, Jamar Clark, Justine Damond, e George Floyd sarebbero ancora vivi se questi poliziotti fossero stati puniti?
La nostra organizzazione ha presentato al sindaco e al consiglio comunale report sui fallimenti dell’Office of Police Conduct Review anno dopo anno: vuol dire che erano pienamente consapevoli della funzione di “timbro di gomma” svolto dall’ufficio».
Tutti sapevano e nessuno agiva?
«Communities United Against Police Brutality attribuisce la responsabilità di quello che sta succedendo al sindaco di Minneapolis, al consiglio cittadino e al capo della polizia. Hanno contribuito a creare, e in qualche caso hanno creato in prima persona, le condizioni sistemiche e amministrative in cui prosperano brutalità della polizia, incoscienza e mancanza di responsabilità rispetto alle proprie azioni. Purtroppo siamo sicuri che se i cittadini di Minneapolis, dotati di grande senso civico, non avessero registrato la morte di Floyd, a quest’ora saremmo davanti alla stazione della polizia a chiedere le immagini dell’intervento del poliziotto: non ce le avrebbero mai date fino a quando non avessero trovato un modo per controllare la narrativa».
Quando fermerete le proteste? Molti speravano che l’arresto del poliziotto avrebbe avuto conseguenze positive sui manifestanti
«Chiediamo che non solo Derek Chauvin, ma tutti e quattro i poliziotti di Minneapolis responsabili dell’omicidio di George Floyd nel giorno del Memorial Day siano arrestati e accusati di omicidio. Ci sono molte ragioni per chiederlo e ottenerlo. Chiediamo anche al governatore del Minnesota Tim Walz di nominare un procuratore indipendente, esterno all’ufficio del procuratore della Hennepin County ed esterno anche all’ufficio del procuratore generale, data la loro lunga storia di copertura delle malefatte della polizia».
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