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L’ottimismo del virologo Silvestri: «Il Coronavirus è stagionale: con il caldo meno letale. Ma il suo ritorno dipende anche da noi»

Lo scienziato italiano, docente negli Usa alla Emory University di Atlanta, conferma la bontà dei dati che danno i contagi in calo e spiega che dietro non c'è soltanto il distanziamento fisico, ma anche la buona stagione. Che però è destinata a finire

Chiamato in causa dal collega Zangrillo, lo scienziato italiano Guido Silvestri, docente negli Usa alla Emory University di Atlanta, ha risposto dicendo che, lasciando da parte la modalità d’espressione, la carica virale nei tamponi per il Coronavirus è effettivamente più bassa rispetto all’inizio dell’epidemia. Insomma, i dati di Zangrillo «sono solidi». Intervenendo su Facebook Silvestri aggiunge un’ulteriore dose di ottimismo per quanto riguarda la Fase 2, citando vari casi che sembrano confermare la stagionalità dell’epidemia. Anche se, come sottolinea lo scienziato, l’ottimo ha una scadenza visto che le stesse cause che sembrano aver portato a un momentaneo rallentamento dell’epidemia potrebbero venir meno con la stagione autunnale.

Al virus non piace il caldo

Il clima caldo e secco protegge innanzitutto perché a queste condizioni «inoculi virali più piccoli sono meno capaci di raggiungere i polmoni, come dimostrato in vari modelli animali». In secondo luogo perché le temperature più alte «rendono instabili attraverso rapida evaporazione le goccioline di fomiti (saliva, starnuti, tosse) che trasportano il virus nell’ambiente». Si tratta di un meccanismo «noto ai virologi da decenni, e spiega perché tutte le infezioni virali respiratorie (Influenza, para-influenza, RSV, rhino, adeno, etc), sono altamente stagionali, con chiarissima predilezione per l’inverno».

Gli altri Covid

Oltre ai dati sui contagi e sui malati in terapia intensiva – in calo significativo nelle ultime settimane e inferiori rispetto alle previsioni più nefaste su una possibile seconda ondata a giugno – quelli sull’andamento generale di altri Coronavirus offrono un’ulteriore conferma in tal senso, secondo Silvestri.

«Il primo elemento da considerare – scrive lo scienziato – è la chiara stagionalità dei quattro coronavirus che sono endemici nella popolazione umana (CoV-HKU1, CoV-OC43, CoV-NL72 e CoV-229E), come emerso in modo straordinariamente chiaro dalla studio di Nickbashkh et al “Epidemiology of seasonal coronaviruses: Establishing the context for COVID-19 emergence” JIAA 2020». L’esempio da tenere a mente in questo caso è il SARS-CoV-1, l’agente responsabile della prima SARS, che arrivò a novembre e sparì a giugno, cioè durante una stagione più caldo.

Virus e latitudine: il confronto tra Australia e il Canada

Un’altra conferma viene invece dalla distribuzione geografica dell’epidemia che in Italia, per esempio, ha colpito maggiormente le regioni meno temperate del Nord e ha provocato meno casi al Sud: secondo Silvestri non si può attribuire il fenomeno semplicemente alla serietà e il rigore con cui sono state osservate le misure di distanziamento fisico.

Guardando all’estero, il confronto tra il Canada e l’Australia – «due paesi lontani ma simili» in termini di popolazione, misure profilattiche messe in atto durante l’epidemia e sistemi di governo – è illuminante. «Le prime morti da COVID si sono verificate in entrambi i paesi il 9 marzo, e il 10 marzo c’erano 98 casi attivi in Canada e 107 in Australia – scrive Silvestri.- Dopo oltre due mesi, a fine maggio, il Canada ha 90.179 casi e 7.073 morti accertati, mentre l’Australia ha 7.185 e 103 morti». Insomma, le temperature mediamente più alte in Australia e il clima più mite hanno ostacolato la diffusione del virus.

La possibilità di una seconda ondata

Ciò che è una buona notizia in primavera e in estate non lo sarà necessariamente con l’arrivo dell’autunno. Secondo Silvestri infatti «c’è la notevole possibilità che l’infezioni ritorni a fine autunno inizio inverno (direi dicembre, se dovessi fare una previsione) e si rimetta a causare infezioni più severe di oggi perché legate ad inoculi con cariche virali più elevate». «Questo punto non può essere omesso» – conclude lo scienziato.- «perché essere ottimisti non significa essere dei giuggioloni che ridendo e scherzando vanno a schiantarsi contro un muro».

Foto di copertina: Facebook

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