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Boris Johnson sfida Pechino: verso passaporti britannici più facili per 2,5 milioni di persone a Hong Kong

03 Giugno 2020 - 12:43 Redazione
Johnson promette soluzioni e alternative a chi teme «al riguardo del proprio modo di vivere» e sottolinea come la Gran Bretagna si aspetti che la Cina assolva agli obblighi che le derivano dagli accordi internazionali

«Se necessario, modificheremo la legge britannica sull’immigrazione, in modo da venire incontro agli abitanti di Hong Kong qualora questo si rendesse necessario»: tradotto, se la Cina decidesse di andare avanti ed applicare la legge sulla sicurezza sul territorio dell’ex colonia britannica. A dirlo è il premier britannico Boris Johnson, che firma oggi un commento per il South China Morning Post. Londra, lo aveva già anticipato, è pronta ad offrire visti agevolati e passaporti britannici ai cittadini di Hong Kong in relazione alla controversa legge sulla sicurezza nazionale, approvata dal parlamento cinese. Johnson promette soluzioni e alternative a chi teme «al riguardo del proprio modo di vivere» e sottolinea come la Gran Bretagna si aspetti che la Cina assolva agli obblighi che le derivano dagli accordi internazionali: il premier fa riferimento alla dichiarazione sino-britannica del 1984. «È proprio perché diamo il benvenuto alla Cina come membro leader della comunità mondiale che ci aspettiamo che rispetti gli accordi internazionali», scrive Johnson.

L’intervento di Bojo

EPA/Miguel Candela | Un gruppo di persone fermate a terra, circondate da un cordone di polizia nell’area di Causeway Bay, Hong Kong, Cina, 27 maggio 2020.

«C’è qualcosa di meraviglioso nel fatto che una piccola isola nel Delta del Pearl River sia cresciuta fino a diventare una grande città commerciale e un centro commerciale dell’Asia orientale. Meraviglioso, ma non accidentale o casuale», dice il premier britannico. Hong Kong «ha successo perché la sua gente è libera. Possono perseguire i propri sogni e scalare tutte le altezze consentite dai loro talenti. Possono discutere e condividere nuove idee, esprimendosi come desiderano. E vivono sotto lo stato di diritto, amministrato da tribunali indipendenti». È così che le persone di Hong Kong «hanno dimostrato di poter ottenere quasi tutto. Hanno prosperato di pari passo con il rinascimento economico della Cina; oggi la loro casa è una delle città più ricche del mondo e centinaia di compagnie continentali hanno scelto di quotarsi alla borsa di Hong Kong». Dunque la Cina «ha un interesse maggiore di chiunque altro nel preservare il successo di Hong Kong. Dalla consegna nel 1997, la chiave è stata il prezioso concetto di “un paese, due sistemi”, sancito dalla Legge fondamentale di Hong Kong e sostenuto dalla Dichiarazione congiunta firmata da Gran Bretagna e Cina».

La legge sulla sicurezza

Insomma l’autonomia di Hong Kong è fondamentale, «con solo limitate eccezioni come affari esteri, difesa o in uno stato di emergenza». La dichiarazione, ricorda Johnson, aggiunge: «Gli attuali sistemi sociali ed economici di Hong Kong rimarranno invariati, così come lo stile di vita” inclusi “diritti e libertà” essenziali».

Ma il mese scorso il Congresso Nazionale del Popolo a Pechino «ha deciso di imporre una legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong, che ridurrebbe le sue libertà ed eroderebbe drammaticamente la sua autonomia». Oggi, circa 350mila persone del territorio sono in possesso di passaporti nazionali britannici d’oltremare e altri 2,5 milioni sarebbero idonei a richiederli, ricorda il primo ministro. «Allo stato attuale, questi passaporti consentono l’accesso senza visto al Regno Unito per un massimo di sei mesi. Se la Cina imporrà la propria legge sulla sicurezza nazionale, il governo britannico cambierà le nostre regole sull’immigrazione e consentirà a qualsiasi detentore di questi passaporti di Hong Kong di venire nel Regno Unito per un periodo rinnovabile di 12 mesi e ottenere ulteriori diritti di immigrazione, incluso il diritto al lavoro, che potrebbe metterli sulla strada della cittadinanza». Un cambiamento epocale sul sistema di visti britannico, dice Johnson. «Se risulta necessario, il governo britannico farà questo passo e lo farà volentieri».

In copertina EPA/Andy Rain | Boris Johnson esce da 10 Downing Street a Londra, 13 maggio 2020.

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