Hitler e la missione per distruggere il corpo, vent’anni dopo la fine della guerra
Sulla morte di Adolf Hitler sembrava essersi abbattuto un mistero irrisolvibile. L’umanità si era divisa in due saperi. Uno realista: il dittatore si era ucciso e fatto cremare nel grande rogo del bunker. Uno complottista: Hitler era riuscito a fuggire. Esiste però una terza versione, dettagliata e documentata, conservata con meticolosità dai sovietici tra i più scottanti segreti della storia. Quel segreto ora è finalmente svelato grazie alla desecretazione di alcuni dossier del Kgb. Hitler si era indubitabilmente ucciso e il suo cadavere semi-carbonizzato era stato subito nascosto dall’Armata Rossa. Chiuso in casse d’artiglieria insieme alle salme di Eva Braun, dell’intera famiglia Goebbels e di un generale nazista. Nei primi mesi del 1946, poi, i russi avevano seppellito tutto il materiale a Magdeburgo (nella Germania occupata dai comunisti), con l’obiettivo di condannarlo all’oblio.
La missione
Esattamente 50 anni fa, però, nella primavera del 1970, avviene la svolta. L’Urss deve ritrarsi dai territori della Ddr, liberando l’area della sepoltura. Così Mosca invia a Magdeburgo una squadra speciale composta da tre spie individuate direttamente dal capo del Kgb, Jurij Andropov. Il mandato è semplice: quei corpi vanno recuperati, bruciati e dispersi per sempre “senza che ne resti traccia”. La storia si dipana seguendo i cartigli della Lubjanka, gli stessi che descrivono la mappa per individuare le casse. È una storia vera, documentata, che Giovanni Mari racconta in Klausener Strasse (Minerva editore, 248 pagine, 16,90 euro), un romanzo storico che prende il nome dalla strada dello scavo.
Klausener Strasse è il diario della missione: dalla preparazione alla composizione del piano, dalla scelta degli uomini alle sbavature operative, intrecciando verbali, autopsie, stratagemmi di copertura, travestimenti e giuramenti di fedeltà. Ogni angoscia si concentra su una gelida distesa tedesca, in un precipizio nella Storia senza possibilità di ritorno, che gli agenti segreti riescono a spezzare solo pensando al futuro, dimenticando le loro difficoltà domestiche. Tra grossolani errori e improvvisazioni, a riportare gli uomini al presente sono le loro pigrizie, i loro pranzi, i loro discorsi spiccioli. Attorno alla squadra, in un rapido sorvolo sul 1970, si addensano le tensioni della Guerra Fredda, i sussulti e le crisi dell’Occidente. Soffia forte un vento di cambiamento, tra il tramonto dei Beatles e la disfatta americana nel Vietnam.
L’Unione sovietica vuole cancellare dal mondo Hitler, per preservare il mito sulla Vittoria nella Seconda guerra mondiale ed evitare rigurgiti nostalgici. Ma la buona riuscita della missione è ostacolata da contrattempi che mettono a dura prova anche il temprato capo della cellula Kgb, Nikolaj Kovalenko. A mezzo secolo dai fatti, Mari tratta una storia vera con le sembianze di romanzo d’azione, costruito, però, basandosi sulla lettura dei documenti. Senza concessioni al voyeurismo, come già fa capire la prefazione di Nicolai Lilin, che identifica nella morte terrena anche la morte del crimine totalitario.
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