Coronavirus. Studio dimostra che col caldo il virus resiste pochi secondi nelle superfici?
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Da diversi media è stata rilanciata una ricerca di una rivista open access dedicata alla fisica dei fluidi secondo la quale sarebbe dimostrato una resistenza ridotta del virur sulle superfici, da tre secondi a due minuti, a seguito dell’evaporazione delle gocce di saliva. I dati, utilizzati dai ricercatori per realizzare un modello di “evaporazione” delle gocce di saliva contenenti il SARS-CoV2, sono stati raccolti da cinque città situate in America, Asia e Australia.
I firmatari sono Rajneesh Bhardwaj e Amit Agrawal dell’Istituto indiano di tecnologia di Bombay. In sostanza, gli autori dello studio avrebbero riscontrato che col caldo il nuovo Coronavirus resisterebbe da un minimo di tre secondi a un massimo di due minuti, a seconda del tempo di evaporazione delle gocce di saliva costituenti il «droplet», che i positivi emettono, per esempio tossendo o starnutendo.
Da come viene descritto lo studio in diverse testate, sembrerebbe quindi dimostrato che la stagione estiva possa spazzare via il virus, ma è davvero così? Non proprio. Non escludiamo a priori la possibilità, solo non ci sembra che la ricerca indiana, così come è stata svolta, presenti evidenze effettive.
Cosa dice di rilevante lo studio?
Ci auguriamo tantissimo che future ricerche dimostrino con ampi studi epidemiologici o sperimentali, che effettivamente d’estate il SARS-CoV2 sparirà. Ma il lavoro di Bhardwaj e Agrawal non è niente di questo. Oltre a basarsi su un modello, non riesce nemmeno a riscontrare una correlazione forte, come onestamente ammesso dai ricercatori:
«Esploriamo anche la relazione tra il tempo di asciugatura di una goccia e il tasso di crescita della diffusione di COVID-19 in cinque città diverse e scopriamo che sono debolmente correlati».
Lo studio pur partendo da una considerazione più che logica, non può dimostrare che effettivamente la stagione estiva riduca i tempi di resistenza del virus, se non presumendo che le condizioni del modello si verifichino sempre come riscontrato dai ricercatori. Questi limiti sono riconosciuti dagli stessi autori nella fine del documento:
«Riconosciamo che il nostro modello ha dei limiti, che possono essere migliorati negli studi successivi».
Secondo Bhardwaj i risultati dello studio potrebbero «spiegare la diffusione lenta o rapida in una particolare città», anche se non si esclude il concorso di altri fattori. Effettivamente, come già analizzato in precedenti articoli, la sopravvivenza del virus nelle superfici con cui potremmo entrare in contatto, non sembra essere la principale fonte di trasmissione.
Per tanto, la riduzione dei tempi di sopravvivenza – posto che i dati dello studio vengano confermati – non sembrano rilevanti nel comprendere una maggiore o minore diffusione del virus in determinate città o regioni. Molto invece possono fare i cosiddetti «interventi non farmaceutici», come le comuni norme igieniche e il distanziamento sociale.
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Foto credit: Chetraruc/pixabay.
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