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Coronavirus. Individuata una proteina che aiuterebbe il virus a infettare le cellule

13 Giugno 2020 - 13:41 Juanne Pili
Se confermata, questa scoperta potrebbe aiutarci a studiare nuove strategie per sconfiggere il virus

La glicoproteina Spike (S) di SARS-CoV2 ha ottenuto una notorietà più che giustificata tra i ricercatori a caccia di un vaccino e terapie farmacologiche. Semplificando potremmo definirla il principale antigene che prende di mira i recettori ACE2 delle nostre cellule, soprattutto quelle delle vie respiratorie, causando quella sindrome che tanto temiamo nel Covid-19, mettendo sotto pressione i reparti di terapia intensiva di tutto il Mondo.

Altre ricerche avrebbero trovato però una seconda proteina presente nelle nostre cellule, che aiuterebbe il nuovo Coronavirus nella sua invasione. Si tratta della neuropilina-1 (NRP1). La rivista Nature segnala in particolare due studi preprint. Si tratta delle ricerche condotte dai team di Giuseppe Balistreri e Mikael Simons, e di Yohei Yamauchi e Peter Cullen.

Devono ancora essere sottoposti a revisione da parte di esperti per la pubblicazione, invitiamo quindi i lettori a non considerare i risultati di questi lavori come accertati al di là di ogni ragionevole dubbio, tuttavia offrono diversi spunti interessanti (che combaciano in buona parte tra loro) per future ricerche, volte a conoscere meglio il virus, ed esplorare nuove alternative nello sviluppo di farmaci e vaccini.

Il potenziale ruolo della proteina NRP1

La comparsa di patogeni nei tessuti è determinata anche dalla presenza e densità di determinati recettori cellulari, come nel nostro caso gli ACE2. Tuttavia non è dimostrato che maggiori o minori quantità di questi recettori – da sole – possano spiegare un impatto direttamente proporzionale della virulenza di SARS-CoV2. Parliamo di «tropismo cellulare», ma come spiegano i ricercatori del team di Balistreri e Simons «i tropismi differiscono». Vale a dire, che altre proteine potrebbero influire sulla capacità del virus nell’infettare le cellule.

«Abbiamo scoperto – continuano gli autori – che il recettore cellulare neuropilina-1 (NRP1), noto per legare i substrati sottoposti a scissione da parte della furina, potenzia significativamente l’infettività di SARS-CoV-2». 

Quindi durante il processo che consente alla proteina Spike di prendere di mira gli ACE2 per infettare le cellule, potrebbe entrare in gioco anche la NRP1.

«Questa interazione – spiegano gli autori del team di Yamauchi e Cullen – migliora l’infezione da SARS-CoV-2 nella coltura cellulare. NRP1 funge quindi da fattore d’accoglienza per l’infezione da SARS-CoV-2 e fornisce un obiettivo terapeutico per COVID-19».

Se quanto riscontrato nelle colture cellulari venisse confermato, questo ci darebbe un elemento in più per comprendere come sabotare il meccanismo messo in atto dal virus per infettarci. Troviamo la NRP1 in grandi quantità nelle vie respiratorie, o meglio, nelle cellule dei tessuti della parte posteriore della cavità nasale – il cosiddetto «epitelio olfattivo» – ma anche nella laringe, nella trachea e nei bronchi.

Sono state già trovate cellule NRP1 positive al SARS-CoV2. Secondo studi basati sui topi, la neuropilina si sarebbe rivelata essere importante nel mediare la diffusione del virus, coinvolgendo le vie del Sistema nervoso centrale.

Perché il virus si comporta diversamente da quello della Sars?

Ovvio che si tratta di due virus diversi tra loro, ma non è banale provare a capire cosa – al di là del genoma – li rende diversi nelle modalità di infezione, trasmissione e diffusione. Questa discrepanza tra i due virus e le differenti patologie associate, è il punto di partenza di entrambi i team di ricerca.

Lo studio di Yamauchi e Cullen, che precede di poco il primo, si intitola «Neuropilin-1 is a host factor for SARS-CoV2 infection». Vi sarebbe quindi un «fattore d’accoglienza» che facilità l’infezione. Secondo gli autori il principale indiziato sarebbe la proteina NRP1.

I ricercatori del team di Balistreri e Simons, forniscono risultati che combaciano in buona parte con quelli dei colleghi, spingendosi più a fondo, verificando il ruolo di questo fattore d’accoglienza attraverso diversi esperimenti, su colture, topi e dati derivati dalle autopsie di alcuni pazienti.

Si intitola «Neuropilin-1 facilitates SARS-CoV-2 cell entry and provides a possible pathway into the central nervous system». Segue diversi metodi per verificare l’ipotesi che un elemento ulteriore unito agli ACE2, possa incrementare l’infezione del SARS-CoV2, soprattutto nell’epitelio respiratorio inferiore e altri organi, come i reni e il tratto gastrointestinale. Nel caso del virus della SARS (SARS-Cov) l’infezione riguardava invece il sistema respiratorio inferiore. Oggi non sappiamo con certezza il perché di questa differenza.

L’esperimento coi virus nelle colture cellulari

I ricercatori fanno notare come la presenza di ulteriori enzimi che potenziano il tropismo di un virus è stato già visto in altri casi analoghi, come per Ebola e HIV-1. Possibile che le proteine NRP1 siano la risposta a questo differente comportamento del nuovo Coronavirus?

Per verificare questa ipotesi i ricercatori hanno utilizzato dei «lentivirus pseudotyped» a cui è stata “innestata” la proteina Spike, assieme ad altri modificati con la proteina spike di un altro genere di virus che fungeva da controllo, in modo da escludere il più possibile i risultati dovuti al caso. Hanno poi infettato una linea di cellule in coltura, con o senza la presenza di ACE2 assieme ai NRP1.

Hanno poi realizzato un nuovo esperimento con la presenza di anticorpi per vedere come veniva influenzato il loro comportamento. In entrambi i casi i ricercatori hanno trovato conferme del potenziale ruolo della proteina nell’incrementare la capacità infettiva del virus. Sì, ma fin qui parliamo di risultati in coltura, con virus che imitavano il nuovo Coronavirus. Allora i ricercatori hanno utilizzato dei SARS-CoV2 isolati da pazienti affetti da Covid-19 ricoverati nell’ospedale di Helsinki, poi hanno utilizzato una particolare linea di cellule umane denominate Caco-2 per infettarle, riscontrando che alla presenza delle NRP1 si osservava una maggiore forza del virus.

Cosa ci dicono i dati delle autopsie di sei pazienti positivi al Covid-19

Va bene, però parliamo sempre di risultati ottenuti in laboratorio, non in un organismo umano. Del resto non sarebbe possibile sperimentare su cavie umane – per fortuna – ma i ricercatori hanno avuto modo di analizzare una serie di autopsie, eseguite su sei pazienti positivi al Covid-19, riscontrando indizi della presenza di NRP1 nelle cavità nasali dei defunti.

Le vie aeree e gli occhi erano state già individuate come principali vie di ingresso del virus. Così, coerentemente con altre evidenze, i ricercatori suggeriscono che attraverso le vie respiratorie il nuovo Coronavirus infetti anche il tessuto cerebrale, mediante l’epitelio olfattivo.

«Questi risultati – continuano gli autori – dimostrano che il SARS-CoV2 infetta il tessuto cerebrale, coerentemente con il suo coinvolgimento multi-organo, e suggerisce che l’ingresso virale nel cervello può avvenire attraverso l’epitelio olfattivo … Portiamo prove che NRP1 fornisce legame, migliora la scissione proteolitica di S, induce endocitosi mediata dal recettore o promuove la trasduzione del segnale».

Delle 36 pagine di cui si compone la ricerca, oltre una ventina riguardano i dati raccolti e i metodi sperimentali utilizzati, a supporto dei risultati suggeriti nella loro conclusione. Ricordiamo però – come fanno gli stessi autori – che occorreranno ulteriori studi mirati per accertare del tutto quanto è emerso dal loro lavoro.

Foto credit: NHI/FLickr | This scanning electron microscope image shows SARS-CoV-2 (round blue objects) emerging from the surface of cells cultured in the lab.

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