Rogo alla Thyssenkrupp, concessa la semilibertà ai responsabili. I familiari delle vittime: «Una vergogna»
Amara notizia dalle autorità giudiziarie tedesche quella arrivata oggi, 17 giugno, alla procura di Torino. A Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, i due manager tedeschi condannati in Italia per il rogo alla Thyssenkrupp che, nel 2007, uccise 7 operai, è stata concessa la semilibertà: passeranno le notti in carcere e le giornate lavorando all’esterno.
Pochi giorni fa Eurojust, l’agenzia dell’Unione europea per la cooperazione giudiziaria, aveva inviato al procuratore generale del Piemonte, Francesco Saluzzo, una dettagliata informativa con i possibili sviluppi della situazione. Secondo quanto si apprende, però, la semilibertà non era menzionata – tanto che il pg aveva annunciato che l’esecuzione della pena era imminente e sarebbe stata «carceraria».
Il piano di esecuzione della pena è stato messo a punto dal ministero della Giustizia del land Nord Reno – Vestfalia. L’istituto che verrà ora applicato è chiamato “offener Vollzug”: il condannato lascia la prigione al mattino per andare al lavoro, e vi torna alla sera. Per accedere a questo beneficio devono esserci alcune condizioni: assenza di recidiva, assenza di pericolo di fuga, assenza di possibilità di commissione di reati della stessa indole.
A Espenhahn, ex amministratore delegato, nel 2016 erano stati inflitti in via definitiva 9 anni e 8 mesi di reclusione, mentre a Priegnitz, componente del gruppo, sei anni e 10 mesi. A differenza degli altri quattro imputati italiani, però, che dopo la sentenza della Cassazione erano andati in carcere, i tedeschi erano rimasti a piede libero ricorrendo alla magistratura del loro Paese. Il loro ultimo ricorso era stato respinto a febbraio dal tribunale superiore di Hamm, ma la condanna era stata ridotta a cinque anni (massimo previsto in Germania per il reato di omicidio colposo).
Le reazioni dei parenti delle vittime
«Un aggettivo per descrivere le sensazioni che sto provando non è ancora stato inventato», ha dichiarato Antonio Boccuzzi, l’unico lavoratore sopravvissuto all’incendio di quella notte. «Cinque anni erano pochi, ma almeno erano qualcosa – dice – mentre questa concessione è pazzesca, incredibile». «Mi hanno insegnato – aggiunge – che le sentenze e le decisioni del tribunale non si discutono. Credo però che sia arrivato il momento di iniziare a discuterle, altrimenti non vale più niente. In questo processo – conclude – non c’è più nulla di normale».
«Ci incateneremo a Roma, andremo a Essen (la città tedesca dove la magistratura si è occupata del caso – ndr), faremo qualcosa», ha detto Rosina Platì, madre di una delle vittime. «Devono dirci come è stato possibile. Stasera volevamo festeggiare – ha continuato la donna – ma, in qualche modo, sentivamo che sarebbe arrivata una notizia di questo genere. Hanno giocato con noi e con il nostro dolore, adesso basta. Non ci fidiamo più di nessuno».
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