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Turchia, Erdoğan ci riprova: Santa Sofia, patrimonio Unesco, rischia di diventare una moschea

17 Giugno 2020 - 17:48 Felice Florio
La data scelta per la riconversione dell'ex basilica bizantina, oggi museo, sarebbe il 15 luglio: anniversario del fallito colpo di Stato del 2016. Proteste della Grecia e delle comunità cristiane

Sultanahmet, uno dei 57 quartieri del distretto di Fatih, nella parte europea di Istanbul. Un nome che diventa evocativo per chiunque abbia visitato la metropoli sul Bosforo: nel suo dedalo di strade, sorgono alcuni dei monumenti più rappresentativi della Turchia. Due, in particolare, si osservano dai lati opposti della stessa piazza: la Moschea Blu, simbolo del potere Ottomano, e Santa Sofia, crocevia di culture, commissionata dall’imperatore cristiano Giustiniano I. Dopo i passaggi tra diverse religioni, il padre della Turchia laica, Mustafa Kemal Atatürk decise di sconsacrarla e trasformarla in un museo nel 1935.

Oggi, un altro sultano, Recep Tayyip Erdoğan, ha deciso che l’emblema della variegata storia dell’Anatolia, terra cristiana, musulmana, di passaggio tra due continenti, deve tornare ad appartenere all’Islam. Santa Sofia – Ayasofya in turco -, il prossimo 15 luglio potrebbe tornare ad avere un suo imam e dai suoi minareti diffondersi la chiamata alla preghiera dei muezzin. L’ennesimo tassello dell’islamizzazione della Turchia che il suo presidente, al potere dal 2003, ha impresso al Paese. I regimi, da sempre, si nutrono con il simbolismo, ma l’annosa questione di Santa Sofia è una carte che il rais Erdoğan si sta giocando per distrarre l’opinione pubblica dalla crisi economica che, due anni fa, ha fatto crollare la lira turca.

Le tappe della riconversione

Lo scorso 29 maggio, il giorno in cui si è celebrato il 567esimo anniversario della caduta di Costantinopoli nelle mani del sultano ottomano Maometto II, Erdoğan ha dato l’ennesima picconata alla laicità della Repubblica. Ha fatto recitare all’interno del museo la Sura della Conquista, un passo del Corano. La messa in scena, in un luogo che, come Gerusalemme, dovrebbe rappresentare la convivenza pacifica tra più credi, ha fatto allarmare governi e istituzioni religiose di Paesi esteri. Non è la prima volta che il presidente turco mostri le sue brame su Santa Sofia: negli anni precedenti sono stati organizzati veri e propri gruppi di preghiera nei giardini antistanti al monumento, patrimonio dell’umanità dell’Unesco.

Santa Sofia, Istanbul

Erdoğan ha chiesto alla Danistay, il Consiglio di Stato turco, di esprimersi sulla riapertura al culto islamico. La decisione, attesa per il 2 luglio, dovrebbe essere favorevole al presidente, in virtù del controllo che egli esercita sull’organo giudiziario dopo il tentativo di colpo di Stato, nel 2016. In caso di voto contrario, ad ogni modo, il rais non dovrebbe aver problemi a procedere con la riconversione del museo in moschea, forte di un sondaggio del quotidiano Yeni Shafak secondo cui il 73% della popolazione vorrebbe restituire il monumento, vecchio di 1500 anni, all’islam. Erdoğan avrebbe scelto come data per la consacrazione a moschea il prossimo 15 luglio, in occasione delle commemorazioni del fallito golpe di quattro anni fa.

Mosaico di Santa Sofia, Istanbul

Le tensioni politiche esterne

Se dal Vaticano non è ancora arrivata una presa di posizione ufficiale, molti organi di informazione legati alla Chiesa cattolica hanno drizzato le antenne, con preoccupazione, verso oriente. Lo Stato che più di tutti è preoccupato per la trasformazione di Santa Sofia in moschea è la vicina Grecia. Una nota del governo ha definito «inaccettabile la consacrazione all’islam di un sito destinato ad altri culti». «Ad Atene non è rimasta neanche una moschea – è stata la risposta piccata di Erdoğan -, a differenza di Istanbul, dove numerose chiese sono sempre attive. Il governo greco non è legittimato ad amministrare la Turchia e dovrebbe evitare di fare polemiche inutili. Se continuano a superare, il limite sapremo come rispondere». Attacchi alla Grecia sono arrivati da tutto l’establishment turco.

Interno di Santa Sofia, Istanbul

«Non è affatto una questione internazionale, è una questione di sovranità nazionale» ha chiarito il ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu, mentre il ministro della Giustizia Abdulhamit Gül ha scomodato il sultano ottomano Mehmet il Conquistatore che trasformò, dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453, la basilica in una moschea. «Dobbiamo rompere le catene di Ayasofia per aprirla alla preghiera – ha detto Gül -. È il nostro desiderio comune. Così adempiremo la volontà di Maometto II». Tutto ciò, oltre a essere un’ulteriore scostamento provocato dalla deriva islamica della Turchia di Erdoğan, sembra un diversivo del rais per non affrontare i problemi economici e l’isolamento internazionale del Paese.

I cittadini turchi sono da sempre molto sensibili a ciò che rappresenta Santa Sofia, e mentre il potere d’acquisto è ai minimi storici, le repressioni delle libertà proseguono e la pandemia del Coronavirus ha causato circa 5 mila morti nel Paese, si infervorano sul futuro dell’imponente complesso architettonico dedicato a Sophia, la sapienza di dio. Non sarebbe un’iniziativa inedita per Erdoğan quella della riconversione di ex basiliche: a febbraio 2013 a Trabzon, l’antica Trebisonda, l’omonima Santa Sofia sul Mar Nero, costruita nel 1200, è stata trasformata in una moschea, coprendo con dei teli i mosaici e gli affreschi di splendore bizantino.

Foto in evidenza: Santa Sofia Instanbul – Wikipedia

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