Il divieto di licenziamenti non va prorogato: aggraverà la crisi – L’intervento
Da quando è stato approvato, a marzo scorso, il Decreto Cura Italia, si è venuto a creare nel nostro sistema giuridico uno stretto parallelismo tra ammortizzatori sociali e licenziamenti. Il Decreto, infatti, ha offerto al sistema economico e produttivo un’enorme ciambella di salvataggio, rappresentata da un ricco pacchetto di ammortizzatori sociali (ricco nonostante il loro pagamento sia avvenuto tardi, in maniera inaccettabile, per via della scarsa efficienza della macchina amministrativa).
Questa ciambella di salvataggio ha avuto un costo non solo finanziario ma anche produttivo: il mercato del lavoro ha dovuto accettare una sospensione di una regola basilare di qualsiasi economia occidentale, la possibilità per le imprese in crisi di licenziare il personale in esubero. Sospensione che è avvenuta con l’introduzione del divieto di avviare licenziamenti collettivi o individuali per motivi economici.
Una limitazione forte, accettata dalle organizzazioni delle imprese per via dello scambio appena ricordato e, sopratutto, tenuto conto della sua natura temporanea: la misura doveva durare, infatti, solo 60 giorni. Questa durata si è allungata a 5 mesi, quando il Governo ha deciso di estendere, con il Decreto Rilancio, la durata degli ammortizzatori sociali, aggiungendo altre 5 settimane alle 9 previste dal Decreto Cura Italia (attualmente quindi il divieto si applica fino al 17 agosto).
La misura sembra destinata ad allungarsi ancora, perché già si parla di estendere la limitazione fino a fine anno, come nuovo “scambio”per l’ulteriore allungamento degli ammortizzatori sociali. Questa nuova estensione sarebbe gravemente dannosa per il mercato del lavoro, oltre a presentare rilevanti problemi di costituzionalità.
Sarebbe dannosa per le imprese, che avrebbero ammortizzatori sociali per una durata insufficiente a coprire tutto il periodo in cui vige il divieto, vedendosi scaricare interamente sulle proprie spalle l’onere di sostenere il costo della crisi. Come può sopravvivere un’azienda senza lavoro e senza ammortizzatori sociali, se le viene impedito di compiere quelle riduzioni di personale dolorose, ma indispensabili a tenere in sesto i conti?
Un allungamento del divieto sarebbe dannoso, per quanto paradossale possa apparire, anche per i lavoratori. Quando saranno finiti i soldi, molte imprese rischiano di finire in un limbo prefallimentare, lasciando i dipendenti senza stipendi, senza ammortizzatori e anche senza le tutele (la NASPI) che spettano in caso di licenziamento.
La prosecuzione del divieto sarebbe anche a serio rischio di illegittimità costituzionale: una misura che “sospende” il diritto delle aziende di avere i conti in ordine si può giustificare per 60 giorni, iniziare a scricchiolare per 5 mesi, ma è palesemente in conflitto con l’art. 41 della Costituzione se si protrarre per un anno o giù di li.
Un allungamento, peraltro, sarebbe anche poco intelligente: più si sposta in avanti la data, più aumenta il rischio di creare un gigantesco “scalone”, superato il quale potrebbe partire un numero ingestibile, sul piano sociale, di licenziamenti collettivi.
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