Caso Regeni, i documenti e i presunti oggetti di Giulio sono nelle mani degli inquirenti italiani
Gli inquirenti italiani sono venuti in possesso dei documenti di Giulio Regeni, consegnati dalle autorità egiziane insieme ad una serie di oggetti che, secondo gli investigatori egiziani, sarebbero appartenuti al ricercatore sequestrato e ucciso al Cairo nel 2016. Gli oggetti sono gli stessi già visionati dagli inquirenti e dagli stessi genitori di Giulio in alcune foto dopo il bliz ai danni della banda di criminali, avvenuto il 24 marzo di 4 anni fa, e che portò alla morte dei cinque presunti assassini.
Allora, però, sebbene le autorità egiziane sostenessero che proprio i rapinatori fossero i responsabili del rapimento e della morte di Regeni (il primo e più inquietante dei vari depistaggi che hanno caratterizzato questa vicenda) quei documenti non erano stati restituiti fisicamente né ai pm italiani né alla famiglia Regeni.
Oltre al passaporto di Giulio e alle tessere di riconoscimento dell’università di Cambridge e dell’università americana del Cairo, ci sono anche un marsupio rosso con lo scudetto dell’Italia, diversi occhiali da sole (di cui due, secondo le agenzie di stampa, sarebbero modelli da donna), un cellulare, un pezzo di hashish, un orologio, un bancomat e due borselli neri (uno dei quali con su scritto Love).
È molto probabile che ora i genitori di Giulio verranno convocati dagli investigatori italiani per effettuare un nuovo riconoscimento degli oggetti giunti dal Cairo. Nella scorsa perizia, i genitori di Giulio, assisti dall’avvocata Alessandra Ballerini, avevano individuato come proprietà del ricercatore solo i documenti di riconoscimento. Avevano invece negato che il resto del materiale fosse suo. L’ipotesi, allora, era che quegli oggetti (oltre agli occhiali da donna c’era un modesto quantitativo di droga) fosse stato accostato ai suoi documenti per avvalorare la falsa pista dell’omicidio a sfondo sessuale.
Lo scorso 18 giugno, il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio aveva scritto una lettera al suo omologo egiziano Sameh Hassan Shoukry. Nel testo, esortando ancora una volta il Paese mediorientale alla collaborazione, aveva sostenuto che la ripresa «della cooperazione al massimo livello tra le nostre procure» fosse «un segnale incoraggiante».
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