Usciamo dalla caverna del lavoro casalingo per lanciare il vero smart working – L’intervento
«Basta smart working, torniamo a lavorare». L’invito rivolto ieri ai milanesi dal sindaco Beppe Sala è stato sicuramente un po’ ruvido e impreciso (l’alternativa tra fare smart working e lavorare appare ingenerosa) ma ha colto uno dei problemi centrali della ripresa.
L’esperienza di questi mesi ha dimostrato che lo smart working non si improvvisa dalla sera alla mattina. Il trasferimento coatto di milioni di lavoratori dagli uffici alle rispettive abitazioni ha generato grandi problemi organizzativi.
È sicuramente vero che le persone hanno continuato, nella stragrande maggioranza dei casi, a lavorare, a volte addirittura incrementando la propria produttività. Ma questo risultato è arrivato in un quadro di grande sofferenza e stress personale: abbiamo sperimentato una forma di massa di “lavoro casalingo”, una versione improvvisata di telelavoro, che somma le costrizioni del lavoro di ufficio agli impegni della gestione della vita familiare (acuiti dalla chiusura delle scuole).
Video riunioni nello sgabuzzino, bambini che corrono sotto il tavolo, conference call mentre si carica la lavastoviglie: è questo il futuro del lavoro che vogliamo? Inoltre, un lavoro dove scompare del tutto l’interazione umana è solo apparentemente più produttivo: si fanno più cose, ma non è detto che il risultato di quello che si fa sia migliore.
Per non parlare degli effetti nocivi che produce, a lungo andare, questo isolamento prolungato sulla socialità delle persone e dei grandi danni economici che subisce il sistema produttivo per la “scomparsa” di milioni di lavoratori dagli uffici.
Un altro aspetto ben colto dal Sindaco di Milano è il cosiddetto «effetto caverna»: si sta creando una comfort zone collettiva in cui si genera l’illusione che si possa costruire un nuovo equilibrio fatto di vita casalinga e continuità dello stipendio.
È utile che qualcuno ricordi a tutti che bisogna uscire dalla caverna: la ripresa della vita economica collettiva passa necessariamente per la ripresa della circolazione dei lavoratori, non possiamo pensare che nella “nuova normalità” restiamo in pigiama, accendiamo il PC e a fine mese arriva lo stipendio. Sarebbe bello, ma non funziona.
Questo non vuol dire non credere nello smart working, anzi. Per lanciare finalmente il lavoro agile bisogna mettere fine prima possibile a questa – inevitabile e necessaria – esperienza di lavoro casalingo, e iniziare a ragionare su come “liberare” la prestazione lavorativa da vincoli spazio temporali, collegandola sempre di più ai risultati. Usciamo dalla caverna e diventiamo agili: si può fare.
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