Coronavirus. Immuni e la «prigioniera»: facciamo chiarezza per chi non ha letto le istruzioni
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Nella giornata di sabato 20 giugno 2020 La Gazzetta del Mezzogiorno pubblica un articolo dove nel titolo viene messa sotto accusa l’App Immuni. Il motivo? Avrebbe, sempre secondo il titolo del quotidiano, fatto «prigioniera» una donna di Bari «costringendola» alla quarantena a seguito di una notifica di un rischio di contatto con una persona contagiata dal nuovo Coronavirus. La colpa, però, non è dell’applicazione!
Indice:
La sintesi per chi ha fretta
L’applicazione non è obbligatoria e l’installazione è su base volontaria, così come rimane su base volontaria l’avviso da parte del cittadino al proprio medico di famiglia dell’eventuale notifica ricevuta.
L’App non certifica il contagio attraverso la notifica. La decisione relativa alla quarantena precauzionale è stata imposta dall’Asl, come spiegato dalla signora al quotidiano e dalle dichiarazioni della stessa Asl nell’annunciare l’avvenuto test del tampone (sabato 20 giugno 2020).
La questione sollevata sui «falsi positivi» riguarda le stime delle distanze tra due smartphone. L’App, siccome fa affidamento a delle stime (spiegate in questo articolo) ha dei limiti e sono ben spiegati nell’area domande e risposte (FAQ) del sito (oltre che nella stessa una volta aperta).
Non è possibile sapere dove e quando ci sia stato il potenziale contatto con una persona risultata positiva, così come non si può sapere se quest’ultima faccia parte del proprio territorio (potrebbe essere una persona proveniente da fuori Regione).
Come funziona Immuni
Secondo l’articolo l’App sembrerebbe confermare delle «pecche» e ci sarebbe un problema legato a dei «falsi positivi», ma non viene spiegato in alcun modo come funziona. Innanzitutto, se l’avete installata potete andare a leggere le FAQ, ossia l’area relativa alle domande frequenti che vengono fatte per conoscere al meglio il servizio. Partiamo spiegando il codice personale, generato casualmente e che vi garantisce la privacy.
Quando due smartphone che hanno installato Immuni si riconoscono tra di loro, attraverso la connessione Bluetooth, si scambiano i codici come una sorta di «biglietto da visita virtuale». Ovviamente non saprete mai a chi fa riferimento quel codice.
Se una persona che ha installato Immuni risulta positiva al Sars-Cov2 può decidere se avvisare alla piattaforma che gestisce l’App al fine di trasmettere il proprio codice ai recenti «contatti»:
Chi risulta positivo sceglie se condividere i propri codici casuali
Gli utenti che sono risultati positivi al virus possono caricare su un server i codici casuali che i loro dispositivi hanno trasmesso nei giorni precedenti, in modo da renderli disponibili agli altri utenti.
A questo punto che succede? Che tutti coloro che hanno scambiato il proprio codice con la persona successivamente risultata positiva al virus verranno avvisati del rischio di un potenziale contagio.
Chiunque ottenga la notifica può, e sempre su base puramente volontaria, decidere se seguire o meno i consigli forniti dall’applicazione:
Se l’app rileva che sei stato esposto a un utente potenzialmente contagioso, ti invia una notifica. In quel caso, all’interno dell’app troverai indicazioni dettagliate sul da farsi. Per esempio, l’app ti consiglierà di metterti in contatto con il tuo medico di medicina generale. Non c’è nessun obbligo di seguire le indicazioni che l’app ti darà, ma ti consigliamo vivamente di farlo per proteggere la tua salute e quella dei tuoi cari e della comunità.
Come è possibile notare, leggendo le linee guida e leggendo l’area FAQ, Immuni non può costringere nessuno a fare qualcosa e tutto dipende dalle scelte delle persone che decidono di installarla. Prevale, dunque, il senso civico di ognuno per proteggere se stessi e gli altri.
Falsi positivi?
Falsi positivi? Risulta evidente che l’articolo non faccia riferimento a un «falso positivo» inteso come persona a cui hanno fatto un tampone e sia risultata per errore come contagiata. Si fa riferimento piuttosto ai contatti non precisi tra due smartphone, ma sono cose già conosciute e spiegate nelle FAQ dagli stessi sviluppatori. Partiamo da un presupposto, ossia le condizioni previste affinché un contatto possa essere considerato tale in caso di segnalazione:
Come stabilito dal Ministero della Salute, l’esposizione deve essere avvenuta a una distanza inferiore ai 2 metri per un tempo superiore ai 15 minuti
Gli sviluppatori, però, non sfruttano una tecnologia come il GPS per provare a tenere in considerazione le distanze tra due smartphone (sul GPS leggete l’ultimo capitolo di questo articolo). La tecnologia di connessione utilizzata, il Bluetooth, non permette una misurazione delle distanze precisa e si può fornire al massimo una stima:
Gli smartphone non possono misurare direttamente la distanza a cui avviene un contatto. Quindi, Immuni usa l’attenuazione del segnale Bluetooth Low Energy per ricavarne una stima. Sono stati eseguiti test di calibrazione per rendere questa stima la più affidabile possibile. Tuttavia, la stima non può essere precisa a causa di una serie di fattori di disturbo.
Gli sviluppatori parlano di «una serie di fattori di disturbo», a maggior ragione non c’è certezza che le distanze siano state rispettate o meno:
Quindi, l’app non può garantire con assoluta certezza che la distanza fosse effettivamente inferiore ai 2 metri. Ciò che è certo è che, se ricevi una notifica di esposizione a rischio, sei stato in prossimità di un utente potenzialmente contagioso per un tempo prolungato.
Risulta possibile che una persona sia stata vicina a più o meno di due metri di distanza da una persona che poi è risultata infetta (successivamente all’eventuale incontro, ricordiamolo). Sono condizioni già conosciute e non solo per dei falsi positivi, ma in nessun modo l’App obbliga il cittadino a contattare il proprio medico e segnalare il rischio di contatto con una persona contagiata.
I casi di contagio sono a zero nella Regione?
La signora sostiene che nella sua Regione non ci siano contagiati, almeno nel periodo della notifica:
Eppure dalla Regione sento ripetere che la gestione dell’emergenza è stata ed è fantastica. Che i casi di contagio sono a zero, che la app Immuni non ne ha segnalato nessuno. E il mio caso allora?».
Non è assolutamente detto che la signora sia entrata in contatto con un cittadino della Regione. Il potenziale contatto potrebbe essere avvenuto con una persona giunta da fuori Regione (un turista, un uomo d’affari, una persona che è andata a trovare i parenti) che, una volta tornata nella sua residenza nei giorni successivi, può aver effettuato il test e segnalato il suo codice privato utile per le segnalazioni dell’App.
Colpa di chi?
L’articolo de La Gazzetta del Mezzogiorno fa eco alla rabbia della signora coinvolta nella vicenda:
Nel frattempo, c’è chi resta vittima dell’algoritmo impazzito della app. «Non riesco a tollerare questa limitazione della libertà – si sfoga la signora – pensavo di vivere in uno Stato democratico non in Corea del Nord. Sono agli arresti, ma senza aver avuto nemmeno diritto a un regolare processo. Anche se sto benissimo, andrò a fare il tampone privatamente, visto che il servizio sanitario pubblico me lo nega.
Alla fine dell’articolo viene riportato il consiglio della signora, ossia disinstallare l’App:
E la app della disperazione? «Ah no guardi, l’esperienza mi è bastata: l’ho disinstallata e ho consigliato a parenti e amici di fare altrettanto».
Chi ha letto questo articolo, e che poteva leggere prima le FAQ presenti sul sito dell’App stessa, comprenderà che Immuni non può essere considerata colpevole essendo su base volontaria. Il problema e la responsabilità rimane quella del sistema sanitario che deve intervenire facendo un tampone in tempi celeri.
Conclusioni
Il titolo de La Gazzetta del Mezzogiorno fornisce un’informazione non corretta a chi non conosce l’App o a chi non ne ha letto nemmeno le istruzioni prima e dopo averla installata. Il messaggio che viene trasmesso è quello di un’App che danneggia la libertà delle persone, mentre spetta agli operatori sanitari effettuare nel più breve tempo possibile un controllo del cittadino (che ha dimostrato senso civico) per garantire il contenimento del virus.
L’invito a disinstallare l’App è un problema perché nel malaugurato caso che la signora risultasse positiva al Sars-Cov2 chi è stato a contatto con lei non riceverà la notifica.
L’App e il GPS
Alcuni utenti si sono lamentati che nei loro smartphone l’App attiva anche il servizio GPS. Gli sviluppatori spiegano, nell’ultimo quesito nell’area FAQ, questa condizione presente nei cellulari Android:
«Perché per usare l’app su uno smartphone Android mi viene richiesto di attivare la geolocalizzazione? Significa che l’app accede alla mia posizione?»
No, Immuni non ha assolutamente accesso ad alcun dato di geolocalizzazione. Sugli smartphone Android, a causa di una limitazione del sistema operativo, il servizio di geolocalizzazione deve essere abilitato per permettere al sistema di notifiche di esposizione di Google di cercare segnali Bluetooth Low Energy e salvare i codici casuali degli smartphone degli utenti che si trovano intorno a te. Tuttavia, come puoi vedere dalla lista di permessi richiesti da Immuni, l’app non è autorizzata ad accedere ad alcun dato di geolocalizzazione (inclusi i dati del GPS) e non può quindi sapere dove ti trovi.
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