Maturità 2020, diario di un presidente di commissione: il pacco finale
Si è concluso ieri il primo girone, la prima classetta ha fatto il suo sporco dovere. Sedici veterani, pochini, un eroico manipolo, superstiti di un lungo percorso a ostacoli tra segati, rimandati, dispersi e disinteressati. Sono arrivati in fondo. In barba ai loro docenti che hanno tessuto tranelli, tramato sgambetti, riversato pulsioni, frustrazioni, angosce, esercitato il potere, talvolta assoluto.
La resa dei conti
E qui, alla resa dei conti, tensione da sfida all’ok corral, ancora una volta, l’ultima, hanno la chance (i prof) di mostrare il loro poterino, hanno l’ultimo voto da dare, estremo atto di finale di rivincita, su tutte quelle mattine in cui hanno dovuto urlare per farli tacere e stare al loro posto, hanno dovuto correggere i compiti di chi non aveva studiato (forse anche perché non aveva capito), rallentare il programma, ripartire, uno sfinimento di stop and go, ripetere e ripetere un mantra uguale negli anni, un mantra che ai ragazzi non dice più nulla, antiche parole, giustapposte, senza fine.
Ora, qui – dicono – potrà vedere, signor Presidente, chi ha studiato tutto l’anno e chi non ha fatto nulla, chi avrebbe le capacità ma non si impegna (non che sia responsabilità dei docenti, tirar fuori dai ragazzi il meglio) l’esame conferma l’andazzo dell’anno, chi sapeva saprà, chi non ha mai fatto nulla fallirà. Versione didattica dell’italianissimo e fatalistico «chi ha avuto ha avuto ha avuto».
La lode
Uno solo dei prodi pare avere i crediti sufficienti per arrivar alla lode, il resto non è degno, non potrà accedere all’alloro, dovrà contentarsi di arrivarci vicino, di sentirne il profumo, gradino inferiore del podio, ma con la consapevolezza che l’Olimpo non è per tutti. Altrimenti si scredita l’insegnamento, che giudica e manda secondo ch’avvinghia. Pensate se i docenti venissero valutati sulle performance degli studenti! Che 10 fioccherebbero! Che di lodi! Ma così non è (purtroppo i docenti non sono valutati affatto). E dunque i voti della Matura restano lo specchio del docente, più sono bassi più l’insegnate ottiene autorevolezza, si fa un nome (e che nome!) rispettabile, duro, senza considerare che quelli bravi, da 100, lo sarebbero spesso anche da soli, senza l’aiuto dei loro osannanti insegnanti.
Il pacco finale
Svelti svelti si arriva a fine mattinata e si passa a redigere scartoffie, a scegliere la giusta biro con cui apporre le firme, blu? Nera? Stampare verbali (ancora la carta, chissà perché? Per le firme, Per le firme! altrimenti chi si accolla la responsabilità?Firma!), crediti, criteri per l’attribuzione dei criteri, verbali degli scrutini per l’attribuzione dei criteri dei crediti e via via giù di inchiostro. Finché il pacco non è chiuso, finché tutto non è ordinatamente e per sempre deposto nel sarcofago, nessuno si muove. E allora partono pasticcini e canapé, per far passare il tempo a chi è con le mani in mano, per stemperare per salutare, tutto un tumulto di preparativi a corte: bidelli conniventi che vanno e vengono e fanno arrivare i caffè (le macchinette sono abolite per via degli assembramenti), succhi, tovaglioli e imbandimenti.
Nonostante il Covid, l’intelligenza artificiale, Alexa il pacco resta sempre il pacco, non si abbandona, è l’emblema della burocrazia, dello statalismo del sepoiparteilricorso? Il rito ha luogo. Prima si distende il foglio di carta da pacchi (per l’appunto) poi si impilano tutti i fogli, dichiarazione verbalizzante di ogni passaggio, di ogni parola spesa, sudore sudato, poi si fa su, proprio come un regalo e si appone lo scotch: un pezzo, due pezzi, il segretario si fa prendere la mano e passa e ripassa e gira e rigira questo fagotto, finché, in preda al delirio, sfinito, con gli occhi di fuori, l’ha plastificato tutto, inespugnabile fortezza di passaggi documentali. Infine con lo spago, quello da cucina, lo insalama per poter apporre in ultimo la ceralacca! Finisce l’esame. Inizia il lungo sonno burocratico del pacco, sineddoche del nostro scontento.
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