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I 500 euro per le donne «aspiranti manager»? Un lapsus di Conte subito corretto. Ma per la parità serve ben altro

Lavoro e impresa
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Fa discutere la proposta annunciata dal Premier (dopo un primo lapsus) al termine degli Stati Generali.

Per qualche ora una notizia ha infiammato i social: la proposta, annunciata da Giuseppe Conte, di concedere 500 euro alle donne “aspiranti manager” per favorire la loro carriera lavorativa. Una proposta che, da subito, è apparsa insensata e quasi offensiva. Per fortuna lo staff del Presidente del Consiglio ha chiarito che si è trattato di un fraintendimento: l’idea, partorita durante gli Stati Generali convocati dal Governo, sarebbe quella di assegnare un voucher di 35 mila euro a 500 donne per frequentare un master di supporto alla propria carriera.

Rimessa in questi termini, la proposta sembra assolutamente condivisibile, anzi: se ha un limite, è legato alla platea troppo ristretta di potenziali beneficiarie della misura. Va tuttavia ricordato che un tema come quello della parità di genere e di opportunità nelle carriere lavorative non può essere affrontato con idee e misure estemporanee, seppure brillanti, in quanto ogni risultato è frutto solo di azioni di sistema molto complesse e articolate.

La donna «aspirante manager» (categoria tutta da definire, ma facciamo finta di capire cosa sia) può anche fare il master grazie all’aiuto del Governo, ma senza alcune condizioni di contesto avrà sempre meno opportunità degli uomini. È sempre sbagliato generalizzare e, anzi, la crescita delle donne in posizioni di responsabilità è continua e incessante; ma ancora manca tanto da fare per poter considerare risolto il problema delle pari opportunità di carriera.

Le barriere da abbattere

Ci sono alcuni ostacoli importanti che vanno ancora rimossi. Pensiamo al tema mai risolto della gestione delle responsabilità familiari, che resta ancora fattore molto rilevante nella carriera lavorativa. Il lockdown, la chiusura delle scuole e il «lavoro casalingo» di massa hanno rovesciato in larga misura sulle lavoratrici donne il compito di gestire gli impegni familiari.

Questo approccio non va bene, anzi: le grandi trasformazioni imposte dalla pandemia dovrebbero diventare un’opportunità per ripensare l’organizzazione della vita delle famiglie: orari flessibili, ingresso a scuola (quando sarà possibile) in orari sfalsati con quelli degli uffici e smart working alternati sono strumenti molto utili per condividere le responsabilità familiari tra entrambi i genitori. Ma non c’è solo il tema della maternità e degli impegni di familiari, che interessa solo una parte delle donne, da affrontare e risolvere per promuovere una vera parità di genere sui luoghi di lavoro.

Il tema centrale

Serve anche un approccio positivo verso la rimozione delle differenze di genere, lo stesso che ha portato alcuni giorni fa il ministro Provenzano a rifiutare la partecipazione a un convegno dove il modello «manel» (panel di relatori fatto da soli uomini) la faceva da padrone.

Limitarsi a dire che «non c’è discriminazione» non basta: chi vuole veramente affrontare questo problema, deve pianificare a tavolino la riduzione delle differenze. Se esiste questo approccio, allora il voucher per master può essere utile; senza il contesto giusto, rischia di trasformarsi nell’ennesimo motivo di rimpianto per la mancata crescita professionale.

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