Stevie Wonder contro Trump: «È un triste giorno se riesco ad avere una visione migliore del 2020 rispetto alla tua»
Ancora una voce si unisce al coro delle star dello showbiz mondiale che, a seguito della morte di George Floyd, l’afroamericano di 46 anni ucciso dall’agente Derek Chauvin a Minneapolis, hanno preso posizione sul razzismo sistemico e sulla discriminazione razziale degli afroamericani negli Stati Uniti. E a intervenire sul tema, ultimo in ordine di tempo, è stata una delle leggende della musica statunitense, Stevie Wonder.
La leggenda della Motown Records, da sempre nota per il proprio impegno per i diritti civili, ha condiviso sui propri canali social una lunga riflessione su quelle che son state le battaglie passate della comunità afroamericana negli States, così come quelle presenti. Wonder, nel suo video, ha ricordato le celebrazioni dello Juneteenth (conosciuto anche come Freedom Day o Emancipation Day, ndr) il giorno per la commemorazione dell’abrogazione della schiavitù in Texas, avvenuta nell’ormai lontano 19 giugno 1865.
E malgrado siano trascorsi 155 anni da quel giorno, negli Stati Uniti, sottolinea Wonder, esistono ancora tre Stati che non riconoscono lo Juneteenth come una festa nazionale: North Dakota, South Dakota e le Hawaii. «Come ci si sente a celebrare una libertà per cui, ancora oggi, stiamo lottando? È una sensazione tristemente familiare», commenta amareggiato il musicista 70enne.
Wonder a Trump: «Un giorno chiederai scusa per ciò che hai fatto»
«Ho sentito parlare le persone di destra, ho sentito parlare le persone di sinistra, ho ascoltato tutto quello che è stato detto. Ma quello che non ho sentito è stato un impegno unanime per espiare i peccati di questo Paese», ha proseguito Wonder che, seppur senza menzionarlo direttamente, si è successivamente scagliato contro il presidente statunitense Donald Trump.
«Ho sentito la persona che ricopre il ruolo più alto di questa nazione dire: “Ci sono persone eccellenti da entrambe le parti”. Non mi sembra un impegno. “Ho un ottimo rapporto con i neri” – ha proseguito il musicista, menzionando alcune dichiarazioni di Trump – I manifestanti pacifici sono stati chiamati “criminali”, gli immigrati vengono chiamati “stupratori”. E proprio il luogo in cui è iniziata la civiltà, l’Africa, ho sentito questo comandante in capo definirla “un buco di mer*a”. Wow».
«Un giorno – prosegue Wonder – ti mostrerai dispiaciuto e chiederai scusa per ciò che hai fatto, perché i fatti gridano più forte delle parole. E il silenzio spaventoso di alcuni è assordante». E con un briciolo di autoironia sulla propria cecità, pur non perdendo incisività e fermezza, Stevie Wonder osserva: «Deve essere un triste giorno se io riesco ad avere una visione migliore del 2020 rispetto alla tua».
Wonder: «Se la vita può finire, tutte le cose possono finire, anche il razzismo sistemico»
E da qui la chiamata al voto per le elezioni presidenziali del 2020: «A quanti dicono di preoccuparsi: muovetevi molto di più delle vostre bocche. Muovetevi e andate a votare, e usate le vostre mani per votare. Il futuro è nelle vostre mani. Abbiamo il potere di votare e il potere di cambiare le cose».
«Lasciate che il vostro cuore trasformi queste parole in azioni – ha proseguito il musicista – Le vite delle persone nere contano. Black Lives Matter non è un ennesimo slogan digitale, virale, trend o un hashtag. Questo deve essere l’inizio della fine di tutta questa insensibilità. Si tratta delle nostre vite, letteralmente. Tutte le vite contano, ma contano solo quando quelle dei neri contano allo stesso modo».
Il vincitore di 25 Grammy Awards ha inoltre ricordato come ci siano voluti 18 anni di lotte per riuscire a rendere il giorno della nascita di Martin Luther King un giorno di festa nazionale. «Era una lotta che non ero disposto a perdere, e a cui molti di voi hanno partecipato, e vi ringrazio. Ma ci risiamo di nuovo: ancora e ancora e ancora».
E citando il suo brano Visions, Stevie Wonder prosegue: «Non sono un illuso, so che le foglie sono verdi e che diventano marroni solo quando arriva l’autunno, so quel che dico, così come oggi non è ieri, così tutte le cose devono finire prima o poi».
«Se la vita può finire – ha chiosato Wonder – tutte le cose possono finire. Il razzismo sistemico può finire. La brutalità della polizia può finire. L’oppressione economica per i neri americani può finire. Un movimento di inazione è un movimento inerte. L’universo ci sta guardando: sto parlando di voi, sto parlando di me, sto parlando di ogni singolo corpo. Facciamo qualcosa: facciamo la differenza».
Video: Stevie Wonder / Twitter
Montaggio: Vincenzo Monaco
Foto di copertina: EPA | KEVORK DJANSEZIAN | Stevie Wonder, 7 luglio 2009
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