Meno distanziamento, niente classi divise e sabato in classe: si va verso l’accordo sulla scuola
L’intesa tra il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina e i presidenti di Regione è quasi raggiunta. L’incontro decisivo è stato rinviato a oggi, 26 giugno, quando si terrà la “plenaria” della Conferenza Stato Regioni dedicata alla scuola post emergenza Coronavirus. In altre parole, alle linee guida da adottare a settembre per il rientro in classe.
Al termine del consiglio dei Ministri di ieri sera, fonti del governo hanno reso noto la richiesta della ministra: un miliardo per la scuola per spazi aggiuntivi e per potenziamento dell’organico, richiesta sostenuta dalla maggioranza dei ministri presenti. Al momento non sembra, invece, in discussione la data di riapertura delle scuole che, secondo quanto si apprende, dovrebbe essere confermata per il 14 settembre.
Restano da ufficializzare anche le indicazioni sul distanziamento che, stando ad una nota di Anci e Upi, dovrebbe restare di 1 metro. «Apprezziamo la conferma dell’indicazione della misura di distanziamento fisico indicata – si legge nella nota – che prevede 1 metro tra le “rime buccali” degli alunni che contribuirà alla migliore riorganizzazione all’interno delle classi e degli spazi scolastici».
La giornata di stop and go
A spingere verso il rinvio della decisione sono state ragioni diverse e c’è chi dice che c’entri anche una partita politica più complessiva. Stefano Bonaccini, governatore della Regione Emilia Romagna e presidente della Conferenza, è ormai in campo come leader a tutto tondo e non nasconde di voler sfidare il governatore del Lazio e segretario del Pd, Nicola Zingaretti.
Proprio Bonaccini, nella mattinata di ieri, ha alzato la posta parlando del fatto che le Regioni vogliono che la didattica si svolga in presenza, con quella telematica ovvero a distanza come forma “residuale”: «Abbiamo bisogno di certezze su tutti i temi che riguardano un poter riaprire in sicurezza le scuole, ma poterle riaprire davvero e riaprirle per la gran parte, se non tutte, in presenza», è la linea.
E proprio su questo punto, come sugli altri due che fin da ieri notte sono al centro della discussione col ministro, si è mediato.
I nuovi contratti
La didattica “in presenza” è collegata al tema assunzioni, almeno con contratto annuale, indispensabili per dividere le classi in più gruppi. I governatori accetterebbero di buon grado la proposta avanzata dal sottosegretario Peppe De Cristofaro che propone di dimezzare il numero di alunni per classe almeno al primo anno di tutti i corsi, in modo da non dividere le classi già avviate. Per farlo, però, ci vogliono circa 80 mila contratti, il 10% dell’attuale pianta organica e un totale di 700 milioni di euro.
Fino a ieri, sulla base dei fondi proposti dal governo, Azzolina aveva messo sul piatto 50 o al massimo 60 mila docenti, non di più. E sul braccio di ferro delle cifre, si era incagliata la trattativa fino a quando, nel corso del Cdm del pomeriggio di giovedì, la ministra ha chiesto un miliardo in più per la scuola per chiudere l’intesa. Una richiesta che è stata accolta con lodi dallo stesso Bonaccini.
Le mascherine
L’altro elemento del contendere è l’obbligo di mascherine in classe dopo i sei anni. Gli insegnati e i presidi sono scettici, soprattutto non vogliono avere la responsabilità del mancato rispetto delle prescrizioni. E fanno pressioni sui governatori. A questo si aggiunge che anche il leader della Lega, Matteo Salvini, è contrario all’uso delle mascherine per i più piccoli.
Su questo aspetto, però, Azzolina e lo stesso ministro della Salute Roberto Speranza non vogliono sentire ragioni. Anche perché a chi dice che in Europa alcuni Stati hanno riaperto senza obbligo di mascherina, da palazzo Chigi fanno notare che in Francia, ad esempio, la paura è tale che solo nei quartieri benestanti, dove ci sono in media maggiori garanzie igieniche su tutti i fronti, le percentuali di rientro in classe sono alte. Nei quartieri popolari i ragazzi sono a casa per più del 90%. Una situazione che in Italia sarebbe insostenibile.
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