George Floyd può aspettare. Gli universitari americani vogliono Elizabeth Warren al fianco di Joe Biden
Manca poco meno di un mese e mezzo alla Convention democratica che avrà luogo a Milwaukee (Usa) a partire dal 17 agosto e Joe Biden, l’anti-Trump, non ha ancora scelto chi candidare al suo fianco come vicepresidente. Lui che per 8 anni ha vestito i panni di vicepresidente nell’era Obama (il cui appoggio ha faticosamente incassato recentemente: Barack Obama ha preferito non schierarsi durante le primarie) e che per un periodo aveva accarezzato l’idea, secondo varie indiscrezioni giornalistiche, di candidare l’ex first lady Michelle Obama come suo vice, oggi dovrà tenere conto del parere degli elettori più giovani che, secondo un recente sondaggio, hanno nel cuore qualcun altro: l’economista tutta patrimoniale e sanità pubblica, Elizabeth Warren.
Il fattore Warren
A dirlo è un recente sondaggio di College Reaction, un’agenzia specializzata nei sondaggi sugli studenti americani, realizzato su un campione di 853 persone, secondo cui la senatrice del Massachusetts, sfidante di Biden alle primarie, sarebbe prediletta dal 28,3% del totale, con uno stacco di circa 9 punti percentuali rispetto alla seconda classificata, Kamala Harris, 55 anni, ex procuratore generale della California, oggi senatrice. Terza classificata, con il 13,1% delle preferenze, Stacey Abrams, 46 anni, avvocato e attivista per i diritti civili.
Rispetto a Warren, Abrams e Harris hanno una storia molto più in linea con il “sogno americano”. Harris, padre giamaicano e madre di origini indiane, non è di umili origini ma è stata la prima senatrice indiana-americana e la seconda donna afro-americana a ricoprire il ruolo. Abrams, che a sua volta proviene da una famiglia di classe media, è stata la prima donna afroamericana ad essere candidata a governatrice nello stato della Georgia (perse nel 2018 contro il repubblicano Brian Kemp, accusato da Abrams di frode elettorale).
Warren – cresciuta «ai margini della classe media», per usare una sua citazione – invece è stata ribattezzata causticamente “Pocahontas” da Donald Trump per un episodio che risale al 1986, quando la docente originaria dell’Oklahoma dichiarò in circostanze ufficiali di avere origini native americane, per trarne un potenziale vantaggio in ambito professionale, anche se un test del DNA rivelò che lo fosse soltanto per 1/1024. Insomma, rispetto a Abrams e Harris, Warren non incarna la storia del progresso delle minoranze americane che, gradualmente, riescono a conquistarsi uno spazio di rilievo nell’America “dei bianchi”.
La vicepresidenza nel dopo Floyd
La nomina di una donna afroamericana o appartenente a una minoranza sarebbe infatti una risposta concreta alle rivendicazioni del movimento Black Lives Matter che, a poco più di un mese dalla morte di George Floyd, ha stravolto il dibattito politico negli Stati Uniti. Biden, che non perde occasione di citare Obama e che, come si è visto durante le primarie in stati come la Carolina del Nord, riscuote molti consensi tra gli afroamericani, a parole ha appoggiato la missione “metafisica” del movimento, pur prendendo le distanze dalle proposte più radicali, come l’idea di tagliare i finanziamenti ai dipartimenti di polizia.
«È in gioco l’anima stessa dell’America. Dobbiamo impegnarci come nazione per perseguire la giustizia con ogni parte del nostro essere», ha dichiarato Biden all’indomani del tweet (poi “etichettato” da Twitter come inneggiante alla violenza) con cui Trump minacciava, «quando iniziano i saccheggi, si inizia a sparare».
La senatrice Amy Klobuchar, anche lei protagonista delle primarie dem e, fino a qualche settimana fa, possibile candidata alla vicepresidenza, si è sfilata dalla gara e, citando «il momento storico» che gli Stati Uniti stanno attraversando, ha invitato Biden a scegliere una «donna di colore» come suo vice. Eppure, come testimonia il sondaggio di College Reaction, gli studenti americani – anche gli afroamericani – sembrano preferire il radicalismo economico delle proposte politiche di Warren – come l’ambizioso piano di sanità pubblica (#MedicareForAll) di ben 20mila miliardi di dollari da finanziare con un’imposta del 2% sui patrimoni superiori ai $50 milioni – al simbolismo proposto da Klobuchar.
Dopotutto, sono gli stessi elettori che per mesi hanno sostenuto “il socialista del Vermont” Bernie Sanders. Ma il problema di fare affidamento sui giovani, si sa, è che non sempre votano. Rispondendo a un’altra domanda del sondaggio di College Reaction, il 60% degli intervistati ha detto che avrebbe assolutamente votato a novembre, anche nel caso in cui ci fosse un rischio concreto di contrarre il Coronavirus (tra gli studenti afroamericani la percentuale è più bassa: soltanto il 43% ha risposto altrettanto). Un dato che fa ben sperare, visto che nelle ultime elezioni del 2016 votò soltanto il 48% dei ragazzi in età universitaria.
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