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Lo storico della medicina Sironi: «Dire la verità e rispettare le misure di sicurezza, così il Covid-19 non sarà un’altra Spagnola» – L’intervista

27 Giugno 2020 - 18:54 Marco Assab
«Il primo insegnamento della storia è che pur non drammatizzando non dobbiamo nemmeno minimizzare». Dopo l'allarme dell'Oms abbiamo chiesto al professor Vittorio A. Sironi se sia possibile una similitudine tra questa pandemia e quella di un secolo fa

Una pandemia «identica» alla Spagnola. Così si è espresso ieri il direttore aggiunto dell’Oms, Ranieri Guerra, in merito al dibattito sul pericolo rappresentato dalla pandemia di Coronavirus. Un parallelo storico forte, visti i numeri drammatici che fece registrare la Spagnola tra il 1918 e il 1920. Ma cosa fu l’influenza spagnola? Quali similitudini ci sono con il Covid-19? Ne abbiamo parlato con il professor Vittorio A. Sironi, docente dell’Università di Milano Bicocca, dove dirige il Centro studi sulla storia del pensiero biomedico (Cespeb).

Professor Sironi che cosa è stata l’influenza spagnola e da dove ha preso il via?

«Quella della Spagnola è stata un’epidemia legata a un virus influenzale, lo si è appurato nel tempo, che ha interessato tutto il mondo tra il 1918 e il 1919. Era un periodo particolare. La medicina non aveva le stesse caratteristiche di oggi ed eravamo nel corso della prima guerra mondiale. In realtà questa epidemia scoppia negli Stati Uniti, con dei sintomi inizialmente molto sfumati. Ma lo scoppio epidemico principale è, di fatto, legato a una festività religiosa che si era tenuta in Spagna, Paese non coinvolto nella guerra e dove i giornali avevano iniziato a parlare di questa forma influenzale così diffusa. Da qui nasce il termine “Spagnola”».

Quante sono state le ondate di epidemia spagnola?

«Due. La prima, quella più attenuata se così possiamo dire, si è verificata nei mesi di marzo-aprile del 1918. Poi c’è stata una seconda ondata, iniziata a fine agosto e che si è sviluppata a settembre-ottobre, con un maggior coinvolgimento, una virulenza maggiore e una maggiore mortalità. In questo periodo, in tutto il mondo, si calcola siano morte tra 50 e 100 milioni di persone. Anche nella prima fase gli infettati erano molti, e spesso anche paucisintomatici o quasi asintomatici, con una mortalità relativamente più bassa o misconosciuta. Quando tutto ormai sembrava tranquillo, e le istituzioni avevano dato segnali di tranquillità, è arrivata una seconda ondata decisamente più violenta, massiccia, con una sintomatologia più grave contro cui la medicina del tempo poteva fare ben poco».

Ci sono delle similitudini tra questo Coronavirus e il virus dell’influenza spagnola?

«Sono due virus diversi. Quello era un virus influenzale, questo è un Coronavirus. Da un punto di vista biologico sono diversi. Le analogie sono sul fatto che, pur essendo virus diversi e indipendentemente dall’agente patogeno, i due episodi pandemici hanno delle caratteristiche simili: una diffusione abbastanza estesa, una mortalità che può variare e il fatto che spesso questi virus hanno delle fasi di attenuazione, o meglio ancora di adattamento, con delle successive ri-esplosioni. Questo è ciò che è successo per l’epidemia spagnola e che, ci auguriamo, non succeda per il Covid-19, ma che in teoria non possiamo escludere. Questo però non ci deve creare allarme, ma proprio la lezione della storia, che serve a questo, ci deve mettere sull’avviso».

Professore è vero che l’influenza spagnola, al contrario del Covid-19, era più letale per i giovani?

«Questo è vero. La Spagnola aveva coinvolto maggiormente i giovani, anche perché una modalità di trasmissione facile in quel periodo era il coinvolgimento di persone che venivano a contatto anche per ragioni belliche, e che erano soprattutto persone giovani. Tuttavia la velocità di diffusione era completamente diversa da quella di oggi. Una volta per passare da un continente all’altro serviva qualche settimana, oggi bastano poche ore. Il virus viaggia oggi con velocità maggiore. Il che significa anche che ci può essere il coinvolgimento di una fascia di popolazione diversa, anche perché, come detto, nella Spagnola la diffusione era più legata alle condizioni del periodo bellico. Tuttavia abbiamo visto in questi ultimi tempi che, seppure con una sintomatologia meno accentuata, anche i giovani sono stati coinvolti dal Covid-19».

Fu trovato un vaccino contro l’influenza spagnola?

«No. Allora la cultura dei vaccini, anche se nascono alla fine del ‘700, era molto diversa. Non c’erano le possibilità tecniche per poterlo fare. Oggi ci sono 140 vaccini candidati per il Covid-19, possiamo sviluppare i vaccini in modo molto veloce, per così dire, perché nonostante tutto ci vorrà comunque il suo tempo e non sono certo che per fine anno ci sarà un vaccino. Ma sicuramente bruciamo i tempi, cosa che negli anni ’20 era assolutamente impossibile».

Come è sparita l’influenza spagnola?

«Ecco, questo è un altro mistero della storia. Siamo riusciti a identificare addirittura anche il genoma, che si è confermato essere appunto un virus influenzale H1N1. Qualche anno fa sono stati trovati dei cadaveri nel ghiaccio di persone morte per Spagnola, ed è stato possibile isolare il virus e capire che era una variante del virus influenzale. La Spagnola è scomparsa abbastanza rapidamente, così come era arrivata. La ragione esatta non la sappiamo. È possibile che ci sia stata, dopo la fase più virulenta e drammatica, un’ulteriore variazione del virus, e che questo sia scomparso dopo aver ucciso tutti, o buona parte, dei soggetti che lo avevano contratto, oppure che sia ulteriormente variato e diventato meno letale. Dal punto di vista microbiologico non si sa esattamente».

Cosa ci insegna l’epidemia del 1918? Quali errori sono stati commessi allora e quali non devono essere fatti adesso?

«Il primo errore emerso allora, che deve essere il primo insegnamento di oggi, è che pur non drammatizzando la situazione, non dobbiamo nemmeno minimizzarla. La verità va sempre detta tutta. Purtroppo in queste settimane abbiamo assistito al fatto che molte nazioni, molti capi di Stato, hanno tentato di minimizzare il fenomeno pandemico. Questo è un aiuto che diamo al virus. La lezione della Spagnola è che la verità bisogna sempre dirla in maniera chiara, senza terrorizzare ma nemmeno minimizzare. Il secondo insegnamento è legato al fatto che, seppur oggi la medicina abbia delle possibilità diagnostiche e terapeutiche sicuramente maggiori di quelle che c’erano ai tempi della Spagnola, dobbiamo comunque avere un atteggiamento di prudenza: indossare la mascherina non è una cosa banale, così come mantenere la distanza o il ricorso alla vecchia quarantena».

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