In Evidenza Benjamin NetanyahuDonald TrumpGoverno Meloni
ESTERIAbdel Fattah al-SisiBolognaDiritti umaniEgittoEmilia-RomagnaLiber* Tutt*Patrick George Zaki

Zaki, l’appello dell’ateneo di Bologna: «Università del mondo unite per chiedere la scarcerazione»

27 Giugno 2020 - 16:25 Redazione
L'istanza del rettore Francesco Ubertini arriva dopo l'annuncio di Al-Sisi di concedere la grazia a 530 detenuti

«Faccio appello al Governo italiano, alla Commissione europea, alle numerosissime istituzioni che hanno aderito alla nostra mozione», dice il rettore dell’ateneo di Bologna, Alma Mater, Francesco Ubertini.

In vista dell’annuncio fatto dal presidente egiziano Al-Sisi sulla concessione della grazia a 530 detenuti, il rettore auspica che «tutte le università del mondo si uniscano» per chiedere a gran voce la scarcerazione di Patrick George Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna che è in carcere ormai da oltre quattro mesi in Egitto. «È l’occasione per mettere fine a questa assurda vicenda e poter restituire Patrick alla sua vita e ai suoi studi», ha aggiunto Ubertini.

Patrick è accusato dal governo egiziano di propaganda sovversiva su Facebook. Lo scorso 17 giugno è arrivata l’ultima doccia fredda: Zaki dovrà restare in carcere per altri 15 giorni. La notizia è stata riportata dal suo avvocato, Hoda Nasrallah, che non è stato in grado di dare altre informazioni. Da quando è stato portato in carcere, le notizie sulla sua detenzione continuano ad arrivare in Italia centellinate.

Gli attivisti della rete Patrick Libero, ogni giorno, sulla loro pagina Facebook, non mancano di ricordare il ragazzo con un messaggio di speranza, un pensiero, una frase, in attesa della scarcerazione. L’ultimo è del 25 giugno: «140 giorni in prigione, 3 volte trasportato da un luogo di detenzione all’altro, 110 giorni dall’ultima visita della sua famiglia o il suo avvocato, 9 rinvii dell’udienza per la scarcerazione, 96 giorni di detenzione senza motivo».

Dall’arresto a oggi

Dopo l’arresto, nelle 24 ore successive Zaki è stato trasferito in una struttura di detenzione a Mansoura, a 120 chilometri dalla capitale. Lì, il giovane sarebbe stato «picchiato, sottoposto a elettroshock, minacciato e interrogato su diverse questioni legate al suo lavoro e al suo attivismo». L’Italia, saputa la notizia, ha chiesto l’inserimento del caso all’interno del meccanismo di ‘monitoraggio processuale’: funzionari delle ambasciate Ue avrebbero monitorato l’evoluzione del processo e presenziato alle udienze.

Per il 15 febbraio era stata fissata la prima udienza in cui i suoi legali avrebbero richiesto l’annullamento della custodia. In quello stesso giorno la famiglia ha potuto fargli visita, ma solo per un minuto. Il 20 febbraio Akhbar Elyom, il giornale ufficiale dello stato egiziano, pubblica una notizia su Patrick che lo descrive come un ricercatore sui diritti degli omosessuali e sostenitore della causa Lgbtq+: un’informazione ritenuta scandalosa dal governo e che avrebbe in qualche modo agevolato la sua detenzione.

Da quel momento, è stato un susseguirsi di custodie prolungate e annullamenti di udienze per la scarcerazione. Ad oggi, Zaki rimane in cella.

Leggi anche:

Articoli di ESTERI più letti