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Hong Kong, 50 arresti nella marcia silenziosa contro la legge sulla sicurezza nazionale che vuole Pechino

I cittadini della città sono scesi in strada per protestare contro la legge la cui promulgazione dovrebbe avvenire entro pochi giorni

Nel 2019 il movimento pro-democrazia di Hong Kong ci ha abituati a scene di protesta degne di un film di Ridley Scott, con tanto di studenti che scoccano frecce dai campus universitari tenuti sotto assedio dalla polizia. Oggi, 28 giugno, i cittadini di Hong Kong hanno scelto la strada della disobbedienza civile non-violenta: per marcare la loro contrarietà a una legge per la sicurezza nazionale che il consiglio legislativo della città si accinge a promulgare a luglio – e che rischia di compromettere l’autonomia di Hong Kong – centinaia di persone hanno marciato in silenzio da Jordan a Mong Kong nel distretto di Kowloon. Ma anche questa volta si sono scontrati con la polizia.

La marcia silenziosa

Almeno 50 manifestanti sono stati arrestati per aver partecipato alla marcia che era stata organizzata dopo che una manifestazione più grande – prevista per il primo luglio, giorno in cui viene solitamente festeggiata la fine del dominio dell’impero britannico su Hong Kong e il passaggio della città alla Cina – era stata vietata dalle autorità locali in nome della prevenzione dai contagi da Coronavirus. Stando agli ultimi dati, nella città non si vedevano nuovi contagi locali di Covid da 15 giorni, mentre il 28 giugno ne sono stati registrati due, entrambi “importati” dall’India.

La legge di sicurezza nazionale

Mentre vanno avanti le proteste a Hong Kong, a Pechino in questi giorni si discute della legge sulla sicurezza nazionale – prevista dalla costituzione di Hong Kong – la cui promulgazione, stando a quanto scrive Hong Kong Free Press, è prevista nei prossimi giorni. Sostanzialmente la legge consentirà ai funzionari cinesi di operare per la prima volta a Hong Kong, dando a Pechino il potere di scavalcare le leggi locali. Inoltre, tra le varie novità previste dalla legge, in alcune circostanze speciali – per esempio in casi di sedizione – i processi potranno svolgersi in Cina. Si tratta quindi di un colpo durissimo al movimento pro-autonomia della città.

È prevista anche la creazione di un ufficio di sicurezza nazionale cinese a Hong Kong. Insomma, le istituzioni delle città e in particolar modo il ramo giudiziario perderanno una parte della loro autonomia. Un precedente tentativo di introdurre una legge simile nel 2003 aveva portato a enormi proteste che erano riuscite nei fatti a bloccare la norma. Nel 2019, invece, le proteste erano riprese a causa di una legge proposta dalla Governatrice Carrie Lam che prevedeva l’estradizione di cittadini di Hong Kong in Cina, come strumento – così sostenevano i manifestanti – per indebolire il movimento indipendentista.

Oggi, il canale di Twitter di Demosisto – il movimento pro-democrazia di cui è leader Joshua Wong – ha preferito rimanere in silenzio, come i manifestanti. In un tweet, l’attivista ha dichiarato che, sfidando le opposizioni, «Pechino passerà la legge il 30 giugno». In un altro post, la Cina viene accusata di voler trasformare Hong Kong in uno stato di polizia, mettendo a repentaglio il futuro delle generazioni più giovani. Ma su Twitter, stranamente, non è stata pubblicata alcuna immagine, né della manifestazione, né degli arresti.

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