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Nuovo virus potenzialmente pandemico trovato in Cina, ma il rischio è basso

30 Giugno 2020 - 14:52 Juanne Pili
Una nuova pandemia di influenza suina non è al momento un rischio concreto, ma non bisogna mai abbassare la guardia

Se prima dell’emergenza Coronavirus le notizie riguardanti nuovi potenziali virus difficilmente destavano grossa attenzione, a meno che non fossero collegate a concreti focolai epidemici, oggi anche un gatto positivo al Lyssavirus ci mette in allerta, ed è giusto così.

Ma se il felino morto ad Arezzo qualche giorno fa è un evento isolato – che difficilmente avrebbe portato a un nuovo focolaio epidemico nelle persone – maggiori preoccupazioni sembrano derivare da un nuovo ceppo di virus influenzale definito dalle Agenzie come «potenzialmente pandemico», trovato in Cina, da un team di ricercatori cinesi e britannici.

Lo studio relativo al patogeno, classificato come G4 EA H1N1 è stato pubblicato dagli scienziati sull’organo dell’Accademia delle scienze americana, Proceedings of National Academy of Sciences (Pnas), il 29 giugno. «G4» indica il suo genotipo; «EA» sta per «Eurasian avian-like».

Gli autori parlano di una variante del H1N1, dell’aviaria eurasiatica, comunemente noto come influenza suina, perché attraverso i maiali fece lo spillover nell’uomo, con una pandemia esplosa l’ultima volta nel 2009, poi il patogeno si indebolì divenendo parte dei virus dell’influenza stagionale.

Cosa hanno scoperto i ricercatori

Intanto l’H1N1 è un sottotipo del virus dell’influenza A, non si tratta di un Coronavirus, come quelli della Sars, della Mers o dell’attuale Covid-19, o quelli che provocano nelle persone malattie simili all’influenza, come il 229E (HCoV-229E).

I maiali sono l’ospite intermedio (amplificatore) di H1N1 come di altri patogeni, che si evolvono prima in un ospite di partenza (serbatoio); e qui capiamo perché una influenza «suina» viene meglio definita «avian-like», infatti si ipotizza che gli ospiti di partenza siano una specie di uccelli marini, i Puffinus pacificus, come di altri virus influenzali.

Secondo quanto riporta David Quammen nel noto best seller Spillover, «il virus responsabile della Spagnola … risultò essere una variante di H1N1 … identificato con precisione nel 2005» (Quammen, Spillover, Adelphi, 2014, pag. 521). 

Veniamo ora a questa che ci azzardiamo a definire approssimativamente come “nuova versione”. Lo studio di Pnas riguarda una ricerca su H1N1 avvenuta dal 2011 al 2018, identificando il tipo G4 EA H1N1 simile, secondo i ricercatori, al pdm/09, quello che causò la pandemia del 2009. Quel «G4» nel nome sta a indicare anche che può legarsi ai recettori delle cellule epiteliali delle vie aeree umane.

«Producono un virus di progenie molto più elevata – spiegano gli autori – e mostrano un’infettività efficiente e la trasmissione di aerosol nei furetti».

Quel che più preoccupa è che tutte le persone immuni ad H1N1 non hanno alcuna immunità contro i virus G4. I ricercatori, rifacendosi a una sorveglianza sierologica nei lavoratori impiegati nei macelli e nell’allevamento dei maiali, hanno riscontrato che circa il 10% erano positivi, di questi si notano in particolare soggetti tra 18 e 35 anni.

Ci sarebbe dunque la possibilità per questo nuovo tipo di virus di adattarsi per scatenare nuovi focolai pandemici. Tale «riassortimento» tipico dei virus influenzali, permette loro di assumere nuove caratteristiche anche a livello degli antigeni, che servono ai virus per attaccare le cellule e al nostro Sistema immunitario per riconoscerli, sviluppando anticorpi specifici.

Niente panico!

Uno dei firmatari dello studio di Pnas, il professor Kin-Chow Chang intervistato dalla Bbc, avvisa che anche se non ci sono evidenze di una effettiva minaccia, si tratta comunque di un fenomeno da tenere sotto controllo:

«In questo momento siamo distratti dal coronavirus e giustamente. Ma non dobbiamo perdere di vista i nuovi virus potenzialmente pericolosi … Non dovremmo ignorarlo».

L’eventualità è teoricamente possibile, ma i focolai epidemici di nuove malattie influenzali restano eventi rari. Secondo il professor James Wood, capo del Dipartimento di medicina veterinaria dell’Università di Cambridge, lo studio di Pnas è da considerarsi quindi un «promemoria salutare». 

L’esposizione al rischio di nuove epidemie c’è sempre stata e il Covid-19 rappresenta una sveglia per tutti, nonostante qualcuno avesse provato a rimproverare la nostra scarsa attenzione. Il modellista di sistemi ed esperto di salute computazionale e digitale Bruce Y. Lee, analizzando in sette punti fondamentali l’articolo di Pnas, spiega su Forbes, che «non c’è bisogno di andare nel panico in questo momento».

Foto di copertina: Heidelbergerin | Maialini.

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