In Francia sono un’onda, in Europa contano. E ora politologi e ambientalisti si chiedono: perché i Verdi in Italia sono così irrilevanti?
Hanno 75 seggi al Parlamento europeo, quasi il 10% del totale. I Verdi, a Strasburgo, contano. E le elezioni europee del 26 maggio 2019 hanno rimarcato come le istanze ambientaliste stanno condizionando lo scacchiere politico del Vecchio continente, a livello macro e micro-territoriale.
Ma se in Germania e in Francia i partiti “green” alle Europee hanno preso rispettivamente il 20,5% e il 13,5% dei voti, in quella stessa tornata elettorale lo scrutinio delle schede italiane ha fatto emergere un 2,3% di consenso per i Verdi. Percentuale più bassa di Portogallo, Spagna, Bulgaria e Cipro.
Nelle elezioni amministrative francesi conclusesi il 28 giugno 2020, la ribalta verde ha inciso nella composizione del mosaico dei Comuni transalpini. «Un’ondata verde si leva in Francia», ha esultato Eva Sas, la portavoce di Europe Ecologie-Les Verts (Eelv), in diretta televisiva a chiusura dei seggi.
Lione, Bordeaux, Marsiglia, Strasburgo, Poitiers, Besançon e Tours hanno eletto sindaci verdi. Anche a Parigi, nella riconferma di Anne Hidalgo, ha pesato parecchio la sua alleanza con l’ecologista David Belliard. In Italia, un esito elettorale simile appare impossibile. Perché?
Le ragioni sono storiche, di indirizzo politico e culturali. Per esaminarle, abbiamo raccolto alcuni pareri sullo stato dei Verdi italiani. Gli esperti di numeri e sondaggi Nando Pagnoncelli e Lorenzo Pregliasco hanno dato una lettura imperniata sui dati, Luigi Manconi, sociologo dei fenomeni politici e portavoce dei Verdi dimessosi nel 1999, ha interpretato la differenza tra Italia e altri Paesi europei dal punto di vista socio-culturale.
Infine, Jasmine Cristallo e Sarah Brizzolara, rispettivamente portavoce e attiviste di 6.000 Sardine e Fridays for Future Italia, hanno spiegato come mai i loro movimenti, fortemente ambientalisti, non riescono a riconoscersi in un partito italiano.
Pagnoncelli: «Eredità politica, corpo elettorale anziano e trasversalità della sostenibilità sono i tre problemi dei Verdi italiani»
«I Verdi in Italia portano avanti un’eredità di ciò che era il partito 15-20 anni fa. Un ambientalismo che, per certi versi, è molto valoriale, troppo ideologico». Per il sondaggista, presidente dell’istituto Ipsos, il cosiddetto «ambientalismo del no» impedisce ai Verdi italiani di decollare nel consenso. «L’analisi del voto delle scorse Europee ci dice che i Verdi si sono affermati dove, nell’elettorato, c’è una grossa frattura generazionale. I Verdi hanno rappresentato la scelta di voto di persone under 40, con picchi elevati tra i più giovani».
«Nel nostro Paese, i giovani sono una minoranza e il loro peso elettorale è inferiore». Per Pagnoncelli, eredità del partito e composizione del corpo elettorale sono i primi due aspetti del poco consenso dei Verdi italiani. «Il terzo aspetto è legato al tema della sostenibilità, molto traversale in Italia. Non è più di pertinenza dell’area del centrosinistra: sono venute meno le barriere di una volta perché con sostenibilità non si intende più soltanto il fattore ambiente, non è limitata al futuro del pianeta. La sostenibilità è diventata sostenibilità sociale».
La sostenibilità, sottolinea Pagnoncelli, «richiede tempi molto lunghi per la sua implementazione. In una politica giocata tutta sull’immediatezza, è difficile riscuotere il cosiddetto dividendo elettorale se per assistere agli effetti dei progetti di politica sostenibile». Consapevole che la velocità con cui la politica italiana rende difficile ottenere consenso insistendo su politiche per l’ambiente, Pagnoncelli conclude ricordando l’esempio dell’Unione europea: «Per attenuare la propria immagine di Europa tecnocratica, ha messo al centro della sua politica il Green New Deal, un progetto della durata di dieci anni di sostenibilità ambientale che inciderà nella vita dei cittadini grazie ai cospicui finanziamenti. Abbiamo notato che la percezione dell’Europa, nella popolazione, sta già subendo dei benefici».
Manconi: «L’esperimento “Kleenex”: nei Paesi mediterranei c’è meno cura dell’ambiente ed è una verità socio-culturale»
Se i Verdi, nel nostro Paese, non attraggono lo stesso consenso degli omologhi europei, «la ragione è da ricercare nel carattere degli italiani, i quali rivelano una debolezza di spirito pubblico e di sentimento civico rispetto ad altri Paesi dell’Unione».
Manconi, dopo una lunga militanza nei Verdi durante gli anni ’90, non crede che il problema del poco consenso per i partiti ambientalisti sia imputabile al partito di cui ha fatto parte. «In Italia, un partito verde che superasse il 10% non c’è mai stato. Gli stessi Verdi hanno sperimentato molte leadership diverse tra loro, nessuna delle quali ha portato a successi elettorali».
Per Manconi, osservare il problema «in termini politici e partitici è superficiale: i movimenti, nella storia, hanno sempre avuto a che vedere con l’habitat sociale, gli orientamenti collettivi, la mentalità comune e le caratteristiche del sistema politico che, in Italia non hanno favorito i Verdi».
Dal punto di vista sociologico, Manconi propone l’esperimento “Kleenex”: «Fate cadere un fazzoletto in una strada svizzera, tedesca o francese. Poi fate la stessa cosa in qualunque strada italiana e contrapponete le reazioni: nel nostro Paese, benché ci possa essere una reazione critica di chi guarda, non sarà mai paragonabile all’ostilità che quel gesto crea in una qualsiasi città del resto di Europa».
Il sociologo nota, però, che una crescita della coscienza ecologista in Italia c’è stata, ma fatica a tradursi in un partito monotematico: «Le istanze verdi sono egemonizzate da troppi partiti che al proprio interno coltivano una componente ambientalista». Su Fridays for Future e le Sardine, organizzazioni legate al tema della sostenibilità, Manconi osserva: «La sensibilità ecologista tende a manifestarsi attraverso la mobilitazione sociale, attraverso l’associazionismo, la cura di una propria personale identità attenta ai temi dell’ambiente».
«Ma stenta a volersi incanalare in un partito e così, quella coscienza ecologista tende a rimanere come una cultura diffusa, come uno stile di vita, quindi qualcosa di molto importante, ma che non non avverte la necessità di diventare azione politica e, d’altro canto, non trova adeguate le risposte politico-partitiche esistenti. Quella sensibilità preferisce esprimersi in movimenti locali, in battaglie civiche, in conflitti su questioni ambientaliste legate al territorio. Ed è qui che si trova la soluzione per i Verdi: se vogliono aumentare i consensi, devono intercettare queste battaglie».
Cristallo: «I Verdi devono avere il coraggio di rappresentare l’idea di socialdemocrazia e criticare il capitalismo»
Il sociologo ritiene che lo spazio politico per l’ambientalismo è occupato da troppe formazioni politiche: +Europa, le formazioni di sinistra radicale e, per ultimo, i movimenti come le Sardine. Uno spazio affollato in cui non emerge una leadership.
La portavoce del movimento nato a Bologna lo scorso 14 novembre, ritiene che «i Verdi, per essere premiati elettoralmente, devono collocarsi nell’alveo di una sinistra europea. Devono rappresentare l’idea di socialdemocrazia, cogliere le contraddizioni delle società capitaliste e intercettare i bisogni reali delle persone». Cristallo percepisce una contrapposizione «tra governo del territorio e conflitto del territorio: i Verdi devono dire chiaramente cosa pensano dell’estrazione del profitto, della distribuzione della ricchezza».
La differenza tra i Verdi italiani ed europei, per Cristallo, è la capacità di trattare «il problema della qualità della vita, delle disuguaglianze, temi strettamente connessi all’ambiente. In Italia ci sono territori sfruttati, con allevamenti intensivi, e territori completamente abbandonati. Siamo una macchina che va a due velocità. Ciò che ha salvato il Sud dal coronavirus è la stessa cosa che il Sud lo ammazza da decenni: lo spopolamento, la mancanza di fabbriche. Bisogna farsi carico di questi aspetti per una politica davvero sostenibile, senza ancorarsi alle battaglie ambientaliste di decenni fa». Il movimento delle Sardine ha come suo pilastro la sostenibilità: l’11esimo punto del manifesto dell’associazione, in uscita tra qualche giorno, lo dice chiaramente.
Cristallo lo legge in anteprima: «Una visione, senza confini. Le Sardine riconoscono di essere parte di ecosistemi complessi. Difendono l’ambiente e ne rispettano gli equilibri anteponendo il diritto alla salute ad ogni altro interesse. Non si fermano al concetto di “Europa”, a osservare i confini, ma immaginano un mondo come “casa comune”: un solo grande mare. Non nuotano a pelo d’acqua, si immergono nelle relazioni umane. Non temono le crisi, ma l’incompetenza, i facili consensi e gli uomini soli al comando. Amano fare branco».
Pregliasco: «I Verdi italiani sono troppo collocati a sinistra e da noi la gente è più preoccupata della disoccupazione che dell’ambiente»
Per il direttore di YouTrend, la distanza in termini elettorali tra Verdi italiani e Verdi europei «non è una questione nuova. Ci abbiamo pensato molte volte negli ultimi anni vedendo i risultati in Austria, Germania e adesso in Francia. L’urgenza sociale è nemica dell’urgenza ambientale: nei Paesi di lingua tedesca e nei Paesi nordici, che hanno una situazione socioeconomica migliore di quella italiana, è più facile dare spazio alle questioni ambientali. In un certo senso, volendo semplificare molto, da noi viene prima la preoccupazione per la disoccupazione che per l’ambiente».
Il secondo aspetto, afferma Pregliasco, «dipende dal sistema politico. In Italia, una quota di quelle aspirazioni ambientaliste le ha assorbite il movimento 5 stelle, che, soprattutto all’inizio, rivendicava con forza le battaglie ecologiste. Non solo: i Verdi italiani hanno occupato sempre uno spazio nella sinistra radicale e questo ha precluso il loro potenziale di espansione verso il centro e il centrodestra».
Nei Paesi di lingua tedesca e nel Nord Europa i Verdi non sono così schierati. «Come dicono gli anti-ambientalisti americani, i Verdi italiani potrebbero essere considerati come delle angurie: verdi fuori, ma rossi dentro».
«In Francia – aggiunge il direttore di YouTrend -, lo spostamento a sinistra è iniziato più tardi, a partire da metà anni ‘90». Proprio riguardo alle elezioni amministrative transalpine, Pregliasco guarda con cautela al boom di consensi, «perché sono risultati che arrivano dal doppio turno e da elezioni locali, dove il ballottaggio potrebbe aver favorito i Verdi nell’ottica del “male minore”. Alle ultime legislative in Francia, ovvero le elezioni politiche del 2017, i Verdi avevano preso solo il 4% al primo turno».
Brizzolara: «È un partito vecchio che non voterei. Alla politica chiediamo meno sforzi nella comunicazione e più azioni concrete»
«La mia impressione – afferma la giovanissima attivista di Fridays for Future – è che i Verdi europei vadano meglio che da noi perché mettono al centro la comunità. In Italia, il partito dei Verdi tende a focalizzarsi sul gioco politico. Invece, bisogna mettere al centro progetti ambientali che coinvolgano i giovani, non l’autoreferenzialità di un partito distante dalle comunità e dalle problematiche dei territori». Brizzolara ritiene che il partito dei Verdi sia rimasto ancorato a logiche e battaglie di 20 e 30 anni fa.
«Benché ami uno dei fondatori dei Verdi italiani, Alexander Langer, non voterei mai per i Verdi perché sono un partito molto vecchio. I membri sono anziani, le rivendicazioni sono “anziane”. E, con il passare del tempo, le energie e gli ideali di una volta si sono esaurite fossilizzandosi su battaglie vecchie». La posizione di Fridays, però, è quella di non sostenere alcun partito: «L’ambiente non dovrebbe avere bandiera politica. Siamo tutti nello stesso pianeta, quindi sia destra che sinistra e centro dovrebbero occuparsi della crisi climatica e ambientale».
Brizzolara conclude rimarcando una certa difficoltà per Fridays for Future nel far confluire, in Italia, le rivendicazioni del movimento ispirato da Greta Thunberg. «In Italia, al momento, non c’è nessun partito che si occupa seriamente delle nostre istanze. O meglio, si impegnano sul piano comunicativo, ma dal punto di vista politico è stato fatto pochissimo. Il Senato ha dichiarato l’emergenza climatica a metà giugno, ma dubito che i parlamentari di questa legislatura diano un seguito concreto alle parole spese in difesa dell’ambiente».
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