Coronavirus. Le mascherine funzionano o no? La confusione mediatica e i risultati degli ultimi studi
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Sulle ragioni per cui le mascherine avrebbero una loro utilità, nell’ottica di proteggere gli altri qualora fossimo positivi al Covid-19, evitando il fai da te, avevamo pubblicato diversi articoli. Questi strumenti di protezione non devono essere un mero capo d’abbigliamento, il materiale deve essere testato, devono aderire perfettamente al viso, minimizzando la tentazione di toccarsi per sistemarle meglio, eccetera.
Soprattutto, non devono farci dimenticare di tenere sempre una distanza di sicurezza rispetto agli altri. Come vedremo, le evidenze scientifiche non fanno altro che confermare quanto suggerivano fin dall’inizio addetti ai lavori come Roberto Burioni, a cui fa eco anche in questi giorni il collega Guido Silvestri.
«A gennaio abbiamo detto – spiega Burioni in un recente articolo su Medical Facts – sbagliando (anche io), che le mascherine servivano solo ai malati. L’abbiamo detto perché quello era ciò che sapevamo, era quello che facevamo per le altre infezioni respiratorie e nessuno poteva immaginare una nuova infezione respiratoria trasmessa in grandissima parte da asintomatici, e invece così è stato».
Indice:
«L’esperimento sociale» delle mascherine in America
In teoria le mascherine non servono per un uso su vasta scala, nell’ottica di dare una protezione che esuli dal rispetto del distanziamento sociale, sono molto utili se indossate da chi è malato, con sintomi che promuovono la contagiosità – come la tosse – e ovviamente dal personale sanitario. Ma la presenza di asintomatici complica le cose, trasformando le mascherine in un mezzo di protezione degli altri, supponendo di essere positivi a nostra insaputa.
Nuove evidenze sembrano confermare che gli asintomatici sono contagiosi quanto i pazienti con sintomi. A complicare le cose ci sono anche i presintomatici e le difficoltà a capire le dinamiche della convalescenza. Inoltre, non è possibile fare esperimenti sociali programmati sulla popolazione.
«Però, inutile dirlo – continua il Virologo – l’esperimento che ci dà la certezza dell’utilità delle mascherine per prevenire l’infezione di questo coronavirus non l’abbiamo fatto e neanche lo potremo fare: dovremmo prendere due cittadine di una zona dove circola il virus, in una imporre la mascherina, in un’altra vietarla e poi vedere dopo qualche mese cosa succede».
Come avevamo visto in un precedente articolo infatti, l’incertezza politica torna paradossalmente utile ai ricercatori, perché almeno possiamo osservare l’andamento della pandemia in diversi contesti amministrativi, con misure più o meno restrittive.
Burioni cita un articolo del The Philadelphia Inquirer, basato sulle correlazioni tra impiego delle mascherine e calo delle infezioni nei diversi Stati degli Usa. «Negli Stati Uniti ogni Stato ha deciso come credeva riguardo alle mascherine», spiega il Virologo. Così questa incertezza ha permesso di osservare che negli Stati dove l’uso delle mascherine era obbligatorio i contagi sono scesi del 25%, mentre dove ci si è limitati a raccomandarle sono aumentate del 84%.
Si tratta, come ricorda lo stesso Burioni, di dati correlativi che non implicano un principio di causa-effetto, ma nell’ottica di usare la massima prudenza, sono informazioni che sarebbe irresponsabile ignorare.
La confusione sulle mascherine
Vari improvvisati esperti si sono cimentati nel divulgare le peggior cose sulle mascherine, per esempio si è sostenuto che i virioni (singole particelle virali), fossero troppo piccoli e in grado di superare i tessuti. Questi guru ignorano che SARS-CoV2, come tutti gli altri patogeni trasmissibili per via aerea, non viaggiano “a secco”, necessitano delle nostre particelle di saliva, le quali dovrebbero essere sufficientemente grandi da venire trattenute dalla mascherina, senza compromettere il nostro apporto di ossigeno.
Per queste ragioni invitiamo a diffidare da chi produce video come quello divenuto virale recentemente su Twitter, dove un medico americano dimostrerebbe l’efficacia delle mascherine. Anche se il risultato appaga le nostre convinzioni, non si tratta di un esperimento vero e proprio. Potrebbe funzionare come gioco per i bambini a scuola. Altri potrebbero emulare questo genere di contenuti, sostenendo l’esatto opposto, ovvero che le mascherine non servono, tante sono le lacune che il medico americano autore del filmato, lascia alla mercé dei complottisti di turno.
Del resto esistono già i test effettuati per certificare le mascherine regolamentari che potete acquistare in farmacia; e altri studi epidemiologici, dove si esplora l’efficacia di tutti gli interventi non farmaceutici in generale, che oltre ai dispositivi di protezione individuale comprendono anche le misure di distanziamento sociale.
I limiti dell’esperimento di Richard Davis su Twitter
Nell’esperimento proposto su Twitter da Richard Davis, direttore del laboratorio di microbiologia clinica al Providence Sacred Heart Medical Center in Spokane a Washington, lo scienziato mostra la differenza tra delle colture esposte al suo droplet (le goccioline di saliva), e altre non esposte perché indossava la mascherina.
Ma in queste colture si può individuare solo se si generano maggiori o minori proliferazioni batteriche. Siccome Davis pubblica i suoi risultati in un Social network, noi non sappiamo in che modo lo scienziato ha escluso che le piastrine venissero contaminate da altre fonti.
Davis ci mostra anche un filmato dove si vede empiricamente come le mascherine di tipo N95 trattengono il droplet, ma non sappiamo molto di come ha testato la sua per l’esperimento. Non c’è un campione di controllo, con piastrine lasciate all’aria aperta, per vedere se ci sono differenze significative rispetto a cosa succederebbe casualmente, eccetera.
Chi sotto i commenti obietta pacatamente, a noi potrebbe sembrare «il solito complottista». Perché abbiamo la stessa tendenza a diffidare da chi dubita di risultati che appagano le nostre convinzioni personali. Siccome i tweet di Davis non sono destinati a degli scolari, ma sembrano pretendere di dimostrare come stanno le cose agli adulti, colmando tutte le lacune col fatto che ce lo mostra un microbiologo di un importante centro di ricerca, non sono molto diversi da chi recentemente si è avvalso del principio di autorità, per sostenere che il nuovo Coronavirus si sarebbe ormai notevolmente indebolito.
Cosa dice la letteratura scientifica sulle mascherine
Sull’efficacia delle mascherine N95 è stata pubblicata una meta-analisi su The Lancet lo scorso Primo giugno, un’altra in attesa di revisione per la pubblicazione, analizza tutta la letteratura scientifica a disposizione, riguardo all’efficacia delle mascherine in generale. Guido Silvestri & Co., hanno pubblicato sulla pagina Facebook Pillole di ottimismo, una interessante sintesi in merito, avvalendosi anche di diversi altri riscontri scientifici.
La prima meta-analisi riguarda l’uso delle N95 in un contesto ospedaliero, che si suppone più controllato, ma gli autori suggeriscono che questi risultati possano essere estesi alla popolazione generale, in ragione di diverse altre evidenze.
«L’uso della maschera facciale è associata a una forte e statisticamente significativa riduzione del rischio di infezione (OR riassuntivo pari a 0.15, IC 95% da 0.07 a 0.34) e le associazioni più forti si sono viste con le maschere N95 o respiratori simili – spiegano i divulgatori della pagina Fb – nelle conclusioni è scritto che anche per la popolazione generale, quindi anche in contesti non sanitari, ci sono prove a dimostrazione che le maschere siano associate alla protezione».
La seconda meta-analisi riguarda i risultati dei migliori studi epidemiologici sull’utilità delle mascherine, randomizzati e osservazionali. Qui le cose si fanno più complicate, perché non emergono evidenze di una riduzione significativa del rischio di contrarre malattie respiratorie.
«Gli studi randomizzati e quelli osservazionali sono i due principali tipi di studi utilizzati per valutare l’efficacia di un trattamento medico su di una particolare popolazione di individui – continuano gli autori di Pillole di ottimismo – La maggior parte degli studi riguardava l’uso di maschere chirurgiche di polipropilene (TNT). I tre studi randomizzati controllati (RCT) hanno mostrato che indossare una maschera facciale non riduce significativamente la probabilità di sviluppo di malattie simili all’influenza (influenza-like ilnesses, ILI) o di sintomi respiratori».
Le mascherine da sole non bastano
Sembrerebbe che – indipendentemente dall’uso delle mascherine – il problema siano i colpi di tosse, che avrebbero più probabilità di trasportare i virus. Inoltre l’emissione di goccioline al di sotto dei cinque micron non sarebbe sufficientemente limitata dalle mascherine.
Si tratta però di dati provenienti da studi sperimentali riferiti ai virus dell’influenza, ai rhinovirus (del raffreddore) e ai coronavirus stagionali. Sono comunque la cifra di quanto le mascherine da sole non bastino, e sono tante le variabili che non ci permettono di dire l’ultima parola sulla loro effettiva utilità, come le modalità d’uso e il rispetto delle altre precauzioni, come l’osservazione della distanza minima di sicurezza.
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